Odore
Si può leggere il mondo anche in una ex scuola elementare, si può grazie agli odori. A me è capitato a Petrelle, paesino umbro di un centinaio di abitanti, in quello che un tempo era il luogo delle aule, dei bambini e dei maestri. È lì che ho incontrato e conosciuto una donna che avrebbe potuto affacciarsi dal festival Letterature di Roma, intitolato appunto “Leggere il mondo”. Radhika Jha, assieme al marito e ai loro due figli, ha acquistato e trasformato la vecchia scuola elementare di Petrelle nella loro casa di vacanza, dove mi ha invitata per una cena che odorava di spezie indiane, di condivisione di ricette, di esperienze di vita al femminile, di risate e di atmosfere estive. Ma è stato attraverso la lettura dei suoi romanzi che la penna della scrittrice mi ha introdotta prima in Giappone e poi a Parigi, grazie all’odore dell’India. Radhika Jha è nata a Delhi ed è cresciuta a Mumbai. Ha vissuto per sei anni a Tokyo, poi alcuni anni a Pechino e ad Atene, addentrandosi a decifrare la condizione femminile nei contesti dove ha seguito suo marito ambasciatore lussemburghese. Da giornalista ha scritto di cultura, ambiente ed economia, per lo “Hindustan Times” e per il “Business World”. Ha lavorato per la “Rajiv Gandhi Foundation“, occupandosi dell’educazione dei figli delle vittime del terrorismo in India.
Radhika scrive di donne, della condizione femminile e del tentativo di emancipazione, di discernimento da parte di donne provenienti da culture dove la loro stessa esistenza è funzionale all’uomo, in senso dell’uomo maschio ma anche in senso dell’essere umano, essendo le donne a mettere al mondo i figli dell’uomo. Come si sopravvive alla totale sottomissione? Le donne raccontate da Radhika hanno voce, talento, sostanza, colori, sapori, hanno corpi tangibili, densi, eppure nelle società in cui nascono e crescono sono costrette a scomparire, a diventare strumenti plasmabili, se non dalle mani dell’uomo, da quelle di una religione denominata ‘felicismo’.
Questo termine è il vero fulcro del romanzo intitolato “Confessioni di una vittima dello shopping”, edito da Sellerio. Ed è la quarta religione del Giappone narrato dalla Jha. Una religione che crea dipendenza, nelle donne, una dipendenza che non lascia scampo, quella dello shopping compulsivo finalizzato a cambiare pelle di continuo, vestirsi di firme europee e contrastare la sparizione lenta della propria autenticità femminile. Purtroppo non c’è via di scampo per le giapponesi che abbracciano il ‘felicismo’, come lo descrive nel suo romanzo ambientato in Giappone la Jha: “Un vestito nuovo non è un punto d’arrivo, bensì un punto di partenza: perciò devi immaginare tutto il resto nei minimi particolari, fino al colore e al modello delle calze da accoppiare. Così che quelli che tu mi dai in cambio del mio corpo siano soldi spesi bene. Ed io sono felice. E la felicità durerà finché non ritorno in camera mia. Grazie a voi americani abbiamo conosciuto il Felicismo. E adesso vogliamo che il pianeta intero sia felice e che compri a più non posso, come facciamo noi. Soltanto allora ci sarà la pace nel mondo”. Ma il potere del consumismo diventa travolgente e l’ossessione per il lusso, la moda, i marchi prestigiosi, finisce per cambiare l’identità di ogni donna che cerca una propria liberazione ed emancipazione nell’acquistare abiti. E finisce così per indossare strati su strati di maschere, il cui unico scopo diventa compiacere un senso estetico declinato dallo sguardo maschile: “Si dice che quando non c’è nessuno di cui innamorarsi, ci si innamora di se stessi. Ma di noi stessi non ci si può innamorare, se in noi non c’è niente di bello. Tomoko mi mostrò di che cosa potevo innamorarmi. Quando indossai i vestiti che lei aveva scelto per me, vidi tutta un’altra persona: una che potevo amare sul serio”.
Il suo romanzo d’esordio, “L’odore del mondo”, edito in italiano da Neri Pozza, ha vinto nel 2002 il Premio Francese Guerlain. La protagonista della storia ha origini indiane, ma non è cresciuta nella regione del Gujarat, dalla quale proviene la sua famiglia, emigrata in Kenia assieme a una generazione di indiani che trovavano lavoro come operai per costruire ferrovie. Leena cresce nel contesto africano, dove rimane orfana di padre e finisce per essere abbandonata dalla madre a Parigi. Nella città dei lumi, una zia paranoica e suo marito che vende spezie la introducono all’arte della cucina indiana. La sua vera dote è quella di riconoscere gli odori, saperli ascoltare e far parlare tra loro. E questo sarà per un attimo uno spiraglio di salvezza, la porterà a sperimentare tante forme di amore, esplorare una vita sessuale libera, e conoscere un mondo di personaggi importanti nell’ambito dell’industria del cibo. Ma la via della sua emancipazione e della ricerca di sé passa attraverso cadute nel dolore e risalite nell’odore, che a volte è una ricchezza, altre volte una condanna.
L’odore di sé, quando negato, diventa insostenibile, questo è il messaggio che ho acchiappato dal libro. Non è possibile sottrarsi al proprio odore di donna. In qualsiasi contesto e coltura, nonostante gli sforzi imposti o autoimposti, l’odore di chi siamo emana da sotto le maschere che indossiamo e prima o poi ci costringe ad annusarlo. La voce di Leena descrive in questo modo la scoperta del suo odore: “Mi colpì a quel punto: un odore misterioso e selvatico, troppo forte per essere civilizzato, troppo intenso per essere nascosto. Un odore decisamente sfrontato, che apparteneva alla notte, a quei piccoli momenti privati e solitari, che non possono essere spartiti con nessuno. Ero stupita di trovarlo lì, in quel posto pubblico, alla portata di tutti.Rimaneva incollato al mio corpo, si arrampicava senza sosta nelle mie narici. Non avevo mai sentito un odore simile. (…) Mi sentii la testa vuota. Non c’erano dubbi, l’odore proveniva da me”. Una volta conosciuto il proprio odore, non sarà più possibile sottrarsi a quella percezione. Ma per molte donne sarà ormai troppo tardi. L’odore è già quello della decomposizione. Perché è così. Siamo donne, siamo l’odore del mondo. E questo fa paura, da sempre, al mondo maschile, che ci induce, quando non ci costringe, a trasformarlo, confonderlo, annullarlo, disintegrarlo, particella per particella.