Onde

Onde

Maggio 24, 2021 0 Di Marta Cerù

La parola onda è una di quelle parole della quale potrei scrivere per il resto della mia vita. Comincerei dalla definizione scientifica forse: un’onda è una perturbazione che nasce da una sorgente e si propaga nel tempo e nello spazio, trasportando energia ma non materia. Oppure mi insinuerei tra le mie onde cerebrali, quelle di quando scrivo, collegamenti inaspettati, associazioni, coincidenze. Ma preferisco cominciare da come mi sia stata regalata, da un marinaio incontrato in un luogo magnifico che ho visitato di recente. Si tratta di un posto che avevo intravisto tra le pagine di un libro, che dipanava una storia attorno al Golfo di Baratti, alcune scene sulla spiaggia, la vegetazione a pochi passi dalle onde. C’era una pineta nel racconto, una casa delle vacanze a Bolgheri, e uno scorcio di mare protetto, riparato e unico al mondo. 

“Il colibrì” di Sandro Veronesi (per La Nave di Teseo), è un libro sulla morte e sull’amore, un amore nato e soffocato tra le ceneri di una morte. Una storia triste, che mi aveva catturata per qualche giorno di fine estate. Non l’ho letto, quel libro, l’ho ascoltato leggere da Fabrizio Gifuni su Audible, sperimentando un tipo di lettura che non preferisco, quella basata solo sull’ascolto, e non sulla vista delle parole su carta. Ho bisogno del filo delle parole scritte, da ripercorrere avanti e indietro per non perdere qualcosa. L’ascolto è un’altra cosa, un’altra faccia della lettura, che lascia tracce più leggere, orme sulla sabbia, che si perdono tra un’onda e l’altra, senza possibilità di ricercarle, sottolinearle, fare note a margine e seguirle se necessario. È stato così che di quel libro mi è rimasto il titolo, il nome di un uccello le cui ali ondeggiano in continuazione per mantenerlo fermo, e l’immagine del Golfo di Baratti, una delle meraviglie del mondo, diceva la voce narrante. E come non desiderare di visitare qualcosa di così speciale a pochi passi dalla vita di tutti i giorni?

Sarei partita subito, finite le ultime parole del racconto, che trasformava una storia triste, di elaborazione di un lutto, in una visione di rinascita. Avrei preso la macchina per andare a vedere se era vero, se esisteva davvero questo golfo speciale, in un lembo d’Italia non così distante da dove mi trovavo allora. Ma non l’ho fatto. Non ho potuto. È arrivata la chiamata dalla scuola. E poi un autunno e inverno balzani, dedicati a vicende di polli da salvare. Poi, una domenica di Maggio sono partita per visitare questo luogo, che avevo costruito nella mia immaginazione, che avevo sognato, visualizzato, come un posto dove avrei trovato qualcosa di prezioso. C’era in me il desiderio di vedere la bellezza, osannata dalle atmosfere create da parole su carta. Sarà davvero così speciale questo golfo dal nome un po’ duro?

L’onda di questo desiderio mi ha spinta a scoprire un luogo, La Baracchina di Baratti, dove ancora si parla come in treno, come nei treni di un tempo non molto lontano, quelli con gli scompartimenti da sei, ci si sedeva, trovando compagni di viaggio. E se la tratta era lunga si intessevano conversazioni, quelle ‘da treno’ le chiamavo allora, pensando allo sferragliare di fondo e alla voglia di scambiare qualcosa con qualcuno che saluterai all’arrivo o che scenderà prima o dopo di te e non incontrerai forse mai più. Vicino al porticciolo di Baratti, anzi di fronte, il luogo dove appoggiarsi per un attimo o per una vita, non è proprio un bar, o un locale dove mangiare e basta, o un baretto qualsiasi sul porto, ma è un luogo dell’anima, uno di quelli che ricordi dopo anni e ti chiedi se esistono davvero quando te ne allontani, se non sono forse ambientazioni di un sogno, portali da ricercare attraverso la fede in qualcosa. Nella Religiosità forse? 

La parola me l’ha regalata Antonio, dopo avermi accolta all’ingresso con un sorriso sorgente di onde luminose, pur schermato dalla mascherina. Dopo aver preso un pasto a base di alici povere e schiacciata, mi ero seduta sui tavolini sotto gli alberi e leggevo, anzi rileggevo, il libro di Andrea Billau, “Cercando un altro Dio” (Apollo Edizioni). L’autore è un filosofo, oltre che la voce che narra di libri e di migranti, dai microfoni di Radio Radicale. Più che altro è una di quelle persone dedite all’esplorazione di quel luogo, la Religiosità, dove non sempre è dato di fermarsi, a volte lo attraversiamo senza sosta, o ci fermiamo quel tanto che basta per riprendere fiato, altre volte vi approdiamo come onde spiaggiate su una riva da plasmare a nostra immagine, o ce ne lasciamo plasmare, da quella riva, per poi ritirarci, ritornare, ritirarci, ritornare, al ritmo ondoso e calmo della marea della sera, o travolti dalla tempesta, sgomenti, impauriti. 

Seguivo le onde dei miei pensieri, entrando in quel baretto di Baratti, ed erano tristi pensieri di commiato. Non solo da un luogo che avrei lasciato da lì a poco, ma anche da un’anima bella che la vita mi ha permesso di incontrare, accompagnare per un breve tratto di mare, un breve viaggio intenso, per poi sottrarla alla sua forma umana prematuramente, in un’età che la vita dovrebbe averla tutta davanti, tutti i mari ancora da attraversare. Salutare il suo cuore era forse il motivo principale che mi aveva spinta ad approdare a Baratti. Un cuore emerso dalle onde e tornato alla forma di energia sommersa, un cuore al quale avevo inviato il mio commiato in forma di parole lette al vento, mentre le onde mi lambivano i piedi.

Con questo spirito mi ero seduta a riprendermi e cercare conforto nel libro di Billau, che espone una tesi rispetto alla ricerca di un senso dell’esistere, legata alla parola Relazione. Scrive l’autore: “La relazione è fondamento ineludibile dell’esistere e nella sua trama si riscontra il sacro ella stessa è il sacro. Relazione dunque come tutto della vita, ché però è difficile da riconoscere perché gli esseri umani sono sì immersi nelle relazioni ma queste molto spesso sono finalizzate all’affermazione della propria individualità che le usa strumentalmente, ‘profanando’ così il senso profondo di ciò che chiamiamo relazione, cioè l’unione delle persone nell’ambito di tutte le relazioni esistenti nello spazio tempo”.

Il libro tratta di filosofia, è piccolo ma complesso, di difficile comprensione per certi versi, almeno per me, ma proprio per questo affascinante, perché spinge alla rilettura e all’approfondimento di ogni paragrafo, alla ricerca di chiarire ciò che è oscuro per oltrepassare i propri limiti. Credo che anche solo leggere in questo senso, con questo scopo, sia un modo per accedere alla religiosità, quel luogo definito dello spirito. E un po’ lo spirito si è materializzato in senso letterale, mentre leggevo, nel profumo di alcol che Antonio era venuto a spruzzare sul tavolino accanto al mio. “Mi scusi”, mi ha detto parandosi tra me e la nube aleatoria. E a quel punto mi ha chiesto cosa stessi leggendo, regalandomi poi la sua parola: Religiosità intesa come un luogo accessibile a tutti, se intraprendiamo la ricerca, anche solo ricavando secondi di meditazione, cioè di pause all’interno dell’azione. Come fa lui, mi ha spiegato, che anche mentre lavora riesce a pensare e meditare, inserendo pause tra un’azione e l’altra. 

Siamo finiti a parlare di fisica, perché mi ha citato il libro di Fritjof Capra “Il Tao della Fisica” (Adelphi). E a questo punto si è inserita, interferendo costruttivamente, un’onda di pensiero del marinaio in ascolto, dal tavolo poco distante. E la conversazione si è arricchita. Deve essere stato l’effetto della lettura di un libro che parla della Relazione come fondamento dell’esistenza, come legge mistica si potrebbe dire, come quella possibilità di senso della vita e della morte, mi sono detta poi. Deve essere stato il libro stesso a lasciarsi interrompere, per permettermi di instaurare Relazioni attraverso il dialogo, esse stesse il senso, nel luogo della ricerca di senso chiamato Religiosità

Che poi la Relazione è anche alla base della meccanica quantistica, che ha permesso di capire che le particelle non sono granelli isolati di materia, ma distribuzioni di probabilità, interconnessioni in una inestricabile rete cosmica. Cioè in pratica relazioni, nel senso che il nostro osservare la realtà è un osservare le relazioni, i processi in evoluzione nello spazio tempo. Se poi a questo aggiungessi che il marinaio giunto a regalarmi la parola onda, si chiama Dafne, non ci sarebbe nulla di strano o di mistico. Ma nella mia formazione Dafne non è solo il personaggio del mito greco, è anche il nome dell’acceleratore di particelle costruito a Frascati dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Due anelli lunghi circa un centinaio di metri, in cui circolano fasci ad alta intensità di elettroni e positroni, che si incrociano in due possibili punti d’interazione, dando luogo a collisioni e generazione di altre particelle. La mia tesi di laurea era sulla possibilità di distinguere due particelle molto simili, pioni e muoni, grazie al rivelatore chiamato Kloe. Allora è comprensibile come la parola onda, lanciatami da un marinaio, mi sia arrivata come onda di probabilità, cioè quella funzione quantistica che descrive gli stati possibili di una particella, come una sovrapposizione di onde.

Vorrei finire questa inaspettata divagazione su un luogo, la Religiosità, e su un libro, quello di Billau, che apre finestre per esplorare proprio quel luogo, con un altro libro che non ho ancora letto ma che mi è stato segnalato dal marinaio Dafne assieme alla sua parola onda. Si intitola “Le onde del libero arbitrio”, edito da NordlightX ed è presentato come il primo atlante romantico dell’oceano Pacifico. L’autore è Marco Rossi, studioso di fisica e marinaio, e in copertina si legge: “Il viaggio in oceano come metafora della vita, per scoprire se il nostro destino sia già scritto nelle correnti del mare o possiamo scriverlo noi stessi. Questo libro è il racconto di un viaggio disegnato sulle rotte dei grandi marinai che hanno solcato gli oceani alla scoperta di terre nuove e lontane. Saliamo sulla sua nave e l’autore ci porta nel suo personale viaggio in quelle terre nuove e lontane. Le racconta. Le vive. Le affronta. Onde, tempeste, venti, boline, aurore boreali. E in un continuo guardare dentro e fuori di sé, si fa eroe romantico. Dapprima Lo stupore e la meraviglia per ciò che vede fuori e un attimo dopo si addentra nei meandri delle sue emozioni.  Nello scorrere del tempo e degli itinerari anche insoliti si intersecano i diversi livelli di lettura. Siamo trasportati da un flusso armonico, tracciato da chi il mare lo conosce bene, all’interno di un racconto di viaggio per viaggiatori dell’anima”.

Ma non riesco a concludere così, citando la descrizione di un libro che non ho ancora potuto leggere, che non ho ancora tra le mani. Le onde di quel libro, da quel libro, le affronterò in una prossima puntata, spero. Però parlare di onde e di un marinaio di nome Dafne mi ha riportato alla memoria uno stupendo libro intitolato “Il Marinaio” di Fernando Pessoa, (Einaudi Tascabili), che sono andata a rileggere trovando quello che cercavo, come in fondo succede con ogni libro, ma proprio ogni libro che ci è dato di incontrare. La storia è ambientata in “Una stanza che si trova in un antico castello. Da quanto si può vedere, la stanza è circolare. Al centro, sopra un catafalco, una bara con una donzella vestita di bianco. Quattro candele agli angoli. A destra, quasi di fronte a chi immagina la stanza, c’è una finestra, alta e stretta, attraverso la quale si vede soltanto, tra due lontani monti, un lembo di mare. Dalla parte della finestra, vegliano tre donzelle. (…) È notte e c’è un vago chiarore lunare”.

È un dramma teatrale nel quale le donzelle si parlano di quel passato che forse non hanno mai avuto, in un’atmosfera onirica per cui parlando dei loro sogni si rivelano essere anch’esse parte di un sogno… forse… Il dubbio resta fino alla fine e la tensione, la profondità, le creste e le valli del moto ondoso si susseguono dall’una all’altra, ognuna con la sua voce: “Amo ogni cosa che ondeggia…. Ci sono delle onde nell’anima mia… Quando cammino mi sembra di essere cullata…” Oppure: “Comincio in questo momento ad esserlo stata una volta… Del resto tutto il mio passato è passato nell’ombra… Gli alberi lo hanno vissuto più di me… Non è mai accaduto e non lo aspettavo neanche”. Una di loro racconta di aver sognato un giorno di un marinaio che si era perduto in un’isola lontana. E questo sogno diventa la descrizione di un mondo che il marinaio sogna da quell’isola: “Per anni e anni, giorno su giorno, il marinaio edificava in un sogno continuo la sua nuova terra natale… Tutti i giorni metteva una pietra di sogno su quell’edificio impossibile”. Fino al punto in cui: “Un giorno che aveva piovuto molto e l’orizzonte era più incerto, il marinaio si stancò di sognare… Allora volle ricordare la sua patria vera… Ma si accorse di non ricordare niente, che essa per lui non esisteva più…”

Leggere e rileggere questo piccolo capolavoro di Pessoa mi riporta alle mie voci interne, all’idea dei multiuniversi in meccanica quantistica, alla sovrapposizione di stati. Forse le quattro donzelle sono quattro stati di una sola particella? Se la realtà non può avere un senso, a prescindere dalla nostra relazione con esso, di cosa sono fatti i sogni? E questi incontri scaturiti dalla lettura di un libro che parla della Relazione come la cura alla “condizione tragica dell’esistenza”, li ho solo sognati, sono anch’essi sovrapposizione di onde, nel vuoto cosmico dove fluttuano particelle…che poi non sono altro che onde… e allo stesso tempo particelle…e onde…e particelle…e onde…e particelle…?