Distanza
Da settimane trovo la parola Distanza in ogni frase, la osservo circolare nelle nostre vite connotata dei tanti significati e interpretazioni che conoscevamo, ne colgo ridefinizioni, in un processo di evoluzione delle parole che questo periodo storico ci porta necessariamente ad attraversare. La realtà che stiamo vivendo è nuova per tutti e tutti cerchiamo, chi in un modo chi nell’altro, di decodificarla. Così applichiamo parole vecchie a situazioni nuove, adattandole come sarti del linguaggio, tagliando e cucendo nello sforzo di rendere una parola il più vicina possibile a quello di cui stiamo facendo esperienza.
Scrive Gaia Manieri, medico e autrice di un articolo intitolato “COVID-19. Le parole per dirlo”: “Distanza. La lunghezza del percorso che separa due oggetti, due luoghi, due persone. Il distacco che separa il punto di partenza da quello d’arrivo. Siamo distanti al di là del reale. La Distanza è adesso lo spazio virtuale che separa l’intenzione dalla realizzazione. La distanza è frutto del limite. Ci troviamo distanti anche dal nostro vicino di casa. Una distanza incolmabile, nonostante di fatto inesistente. Là dove i confini sono chiusi, i mezzi di trasporto soppressi, il limite stabilito: la distanza diventa astrazione. Prescinde cioè dal dato oggettivo, reale, divenendo un prodotto concettuale determinato dalle condizioni. Non possiamo avvicinarci, non possiamo ridurre la distanza, non possiamo controllarla, non ci è dato. Dobbiamo piuttosto anche qui rispettare la distanza non solo tra i luoghi ma anche tra le persone – almeno un metro – non cedere alla tentazione di sentire il respiro dell’altro pur rimanendo sempre connessi. Con il lavoro a distanza, le riunioni a distanza, la didattica a distanza, l’amore a distanza. Vicini, ma da lontano”.
Nell’ultima settimana abbiamo assistito impotenti all’aumento del numero di morti a Distanza a causa della ormai dichiarata pandemia da COVID-19. E l’unica cosa che possiamo fare, spauriti, increduli, è avvicinare il cuore a coloro che in solitudine se ne sono andati e a coloro che, anch’essi in solitudine, li hanno salutati per sempre. Ricevo in questi giorni le parole di una persona cara che non ho mai incontrato personalmente. L’ho conosciuta a Distanza, come mi capita a volte in questo spazio di scrivente, dove uno o due lettori si affacciano a commentare le parole che catturo e rilancio, intessute delle mie personali e circostanziali associazioni. Questo gentilissimo signore, per il quale nutro una profonda stima, pochi giorni fa mi ha lanciato il seguente messaggio: “Devi dire a tutti che io sono uno dei molti che, abbandonati, non sanno più come sopravvivere. Novantotto anni io, novantaquattro mia moglie, abbiamo la necessità di una pure saltuaria presenza alla porta di qualcuno che ci chieda di che cosa abbiamo bisogno. È banale, ma sono mesi che il servizio postale ci sollecita di andare a ritirare la posta alla centrale, semplicemente perché il postino si affaticherebbe eccessivamente a verificare la presenza in casa delle persone. Sono mesi che lascio perdere. Carissimi politici cercate di aguzzare le vostre capacità di analisi. Esistiamo anche noi: i vecchi dalle difficoltà insormontabili”.
Pensando a lui e a tante persone come lui, i nostri genitori, i nostri nonni, soli nelle loro abitazioni, la parola Distanza assume un peso doloroso. Si fa incolmabile, insormontabile, come esprime il messaggio del mio amico lettore. In modo diverso, spesso sembrano Distanti, surreali, avulse dalla nostra realtà quotidiana, le parole di certi politici. Oppure ci arrivano messaggi quotidiani, nei quali ascoltiamo o leggiamo questa parola: messaggi sulla Distanza di sicurezza, sulle Distanze da rispettare e, nel mio personale caso di docente, sulla Didattica A Distanza
Mi sono sentita confortata e abbracciata quando il Presidente della Repubblica Mattarella ha ringraziato, tra le tante persone che possono e continuano a lavorare in questo periodo tremendo, anche gli insegnanti e il personale scolastico, nel suo discorso alla Nazione del 27 Marzo. Ricevere queste parole mi ha dato una grande forza, agganciata alla consapevolezza del privilegio che ho, in questo periodo storico, di essere una tra le tante e i tanti docenti che si confrontano quotidianamente con l’impresa di ridefinire la didattica.
Il compito è quello di accorciare le Distanze, tra tutte le componenti del mondo didattico, prima di tutto gli aventi diritto all’istruzione, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, costruendo quella che è stata definita Didattica a Distanza, facendo esperienza di nuovi metodi, nuove idee, nuove risorse, in tempo reale, con lo scambio immediato e la possibilità di capire sul campo cosa funziona e cosa no. Un po’ come in classe, quando capisci dallo sguardo perso che quello che stai dicendo non arriva, o viceversa ti accorgi quanto una domanda che ti viene posta sia segno di quella curiosità profonda che ci spinge a cercare, spesso coltivando dentro di noi la risposta che ci viene data e facendola crescere, arrivare ad altre domande e altre risposte, quelle che in un modo o nell’altro saranno originali e allo tesso tempo universali.
Proprio in questo periodo, intrinsecamente sperimentale, perché nessuno di noi ha vissuto nulla di simile e tutti noi siamo chiamati a fare del nostro meglio per contribuire a creare le soluzioni del dopo, proprio in questa settimana di fine marzo, drammatica per aver raggiunto e superato il numero ormai di cinque cifre della totalità dei morti italiani, avevo lanciato ai miei studenti un compito: “In matematica, la parola Distanza ha un preciso significato. È qualcosa a cui associare una misura, un segmento, un numero, qualcosa di quantificabile. In Fisica, gli ambiti in cui trovare questa parola sono i più svariati, dal microscopico, per esempio quando si pensa alle Distanze tra atomi nella struttura di un reticolo cristallino, al macroscopico, pensiamo alle Distanze planetarie, o alle distanze che ci separano nello spazio in cui viviamo da un capo all’altro del pianeta. Dunque il compito è questo: A partire dalla parola Distanza, create un elaborato personale, nella forma che più vi sembra adeguata, che descriva e racconti, risolva o imposti, una riflessione legata al concetto di Distanza”. Il lavoro dei ragazzi e delle ragazze che hanno colto questa sfida, coloro che spesso e volentieri diventano i miei maestri, si è rivelato pieno di spunti. Uno fra tutti, il legame profondo della parola distanza con il concetto di spostamento, che, per le mie associazioni, spesso legate alla contingenza e al contesto in cui mi muovo, mi ha fatto pensare alla corrente di spostamento. Si tratta di un concetto fisico, introdotto da Maxwell nelle sue famose equazioni, per descrivere formalmente la propagazione delle onde elettromagnetiche.
Il problema è complesso e riguarda un’incongruenza che nasce all’interno dell’apparato teorico che descrive i fenomeni elettrici e quelli magnetici, quando si ha a che fare con variazioni di uno o dell’altro campo. Quella che Maxwell ha chiamato corrente di spostamento è o non è una corrente? Ci si chiede la prima volta che si incontrano le equazioni di Maxwell. Non si adatta infatti all’idea di corrente che possiamo misurare ai capi di una resistenza in un circuito dotato di generatore. La domanda non è banale e l’interpretazione fisica della corrente di spostamento è che sia un passaggio di informazione, sottoforma di onda elettromagnetica. Ma averla pensata e introdotta è quel passo avanti che lo scienziato compie per misurare e percorrere la Distanza tra l’osservazione sperimentale e un modello teorico che la descriva, con l’apparato matematico in grado di permetterci di fare previsioni, oltre che consentirci di ricreare l’esperimento.
La scienza raramente si fida delle certezze, procede invece attraversando zone d’Ombra e avvicinando quanto più possibile le descrizioni teoriche di un fenomeno alla possibilità di anticipare, date opportune condizioni, quello che osserviamo in natura. Se la costruzione teorica fallisce, anche in un solo caso, dobbiamo chiederci quanto sia vicina alla realtà, quanto le predizioni del nostro modello siano distanti da quello che si osserva, e questo ci da una misura della validità del modello.
A volte la Distanza è conseguenza solo dell’impossibilità di una misura perfetta, precisa al punto da non introdurre o contenere errore. Ma la fisica del Novecento ci ha insegnato che una tale misura, precisa in senso assoluto, non esiste. E allora l’errore va considerato, occorre studiare da dove viene, accettarlo, prenderlo in considerazione, perché tutto torni e ci avvicini a una descrizione teorica il più vicina possibile al fenomeno, così da rendere la Distanza tra ciò che misuriamo e ciò che prevediamo dai nostri modelli il più piccola possibile. Questo concetto di Distanza, lo sforzo per cercare di quantificarla, l’apparato teorico di conoscenze che ci permette di ridurla, è uno degli aspetti fondamentali del metodo scientifico.
Non a caso, in questo tempo di emergenza sanitaria, di sperimentazione mondiale finalizzata a contrastare la pandemia, la Distanza reale, indotta, imposta, autoimposta, non esiste nel mondo dell’informazione scientifica, del pensiero scientifico che progredisce, nel mondo della scienza, dove si cerca di annullarla, unendo gli sforzi di tanti scienziati formati in discipline anche molto Distanti tra loro. La collaborazione massima è la chiave per arrivare al risultato ottimale per tutti. In queste settimane continuo a dire ai miei studenti quanto la fisica sia la scienza delle scienze, quanto spesso tutto parta dalla fisica. Non è campanilismo. È quello che ho osservato anche in questa terribile occasione, vedendo come i fisici si siano uniti a livello globale, creando una rete di informazioni, di analisi dati, di sensibilizzazione dei governi, per studiare l’andamento del contagio, trovare strategie di contenimento e informare in modo corretto.
Il gruppo Facebook: “Coronavirus. Dati e analisi scientifiche”, nato dall’iniziativa del Fisico Enzo Marinari, Fisico Teorico del Dipartimento di Fisica dell’università La Sapienza di Roma, Enrico Bucci, Professore Associato alla Temple University di Philadelphia, in collaborazione con Giorgio Parisi, anche lui ex professore all’Università La Sapienza e ora Presidente dell’“Accademia dei Lincei”, è nato dall’esigenza dei fisici di monitorare e analizzare, dal primo istante, il dilagare e lo sviluppo di COVID-19 in Italia. Conoscere come si evolve la situazione è uno strumento fondamentale per capire quali sono le misure da prendere e quanto sono efficaci una volta prese. Tra questi fisici, leggendo gli articoli pubblicati su Scienza in Rete e gli scambi di post sul gruppo Facebook, giorni fa ho letto una delle affermazioni che più mi ha colpito, a firma di uno dei componenti di un gruppo che si allarga di giorno in giorno. Scrive Federico Ricci Tersenghi, professore di Fisica Teorica all’università La Sapienza di Roma: “Possiamo fare previsioni in questa fase. Quale deve essere il ruolo di noi scienziati in questo momento? Può sembrarvi strano che inizi questo post con due domande, ma ieri è stata una giornata difficile che mi ha fatto pensare molto. Abbiamo visto crescere il numero dei decessi da coronavirus di un numero senza precedenti. Sebbene questo numero sia compatibile con alcuni degli scenari presentati nei giorni scorsi, sembra purtroppo seguire gli scenari peggiori. Ma soprattutto il modello che stavo usando, ispirato ai dati cinesi, non sembra riprodurre bene i dati italiani, perché le migliori stime dei parametri del modello cambiano di giorno in giorno. E questo è segno che stiamo “forzando” troppo il modello ai dati. Insomma, in questa fase, penso che sia più onesto dire che non abbiamo ancora un buon modello per fare delle previsioni. Piuttosto che mettermi a discutere sulle instabili previsioni della presunta data del “picco”, personalmente preferisco rimboccarmi le maniche e tornare a studiare! Quindi in questi giorni non mi avventurerò in previsioni, ma continuerò ad osservare i dati da vicino e scriverò solo quando potrò dire qualcosa di statisticamente significativo. A volte gli scienziati hanno più domande che risposte e spero che sappiate accettarci anche in questi momenti”.
Nel panorama di dichiarazioni, previsioni, pura cronaca contenente numeri attendibili o meno, incertezza, falsa certezza, ostentazione di conoscenze discutibili, esperienze vive, vere, sul campo, ricerche di vario tipo, informazione straripante e tale da aver meritato il nuovo termine di “Infodemia”, questa frase è per me il senso vero di cosa significhi avere un modello ancora Distante dai dati e di quale sia lo sforzo di chi continua a studiare per pensare a nuovi modelli, capire i dati, cercare di ridurre quel tipo di Distanza che ci permetterà di anticipare COVID-19, creare strategie per contenerlo, anche quando è ormai presente in modo incontrollabile. E, grazie alla scomparsa di una distanza astratta, tra i modelli e la realtà che descrivono, pensare di poter un giorno tornare a ridurre le distanze tra esseri umani, che COVID-19 ci sta forzando a guardare da vicino, ma che purtroppo già esistevano, anche se forse non avevamo la prospettiva giusta per vederle.