Prospettiva
Dalla parola finestre alla parola prospettiva il passo è breve, quando ci si trova a passeggiare per la cittadina toscana di Sansepolcro. La Resurrezione di Piero della Francesca può essere definita una finestra sull’aldilà e il pittore toscano è l’autore del trattato “De prospectiva pingendi”, il primo studio sistematico delle tecniche della prospettiva. L’artista, pittore, scrittore, architetto e storico, Giorgio Vasari definì l’opera in cui il Cristo attraversa il varco dalla morte alla vita, “di tutte le sue la migliore” e lo scrittore Aldous Huxley, che nutriva una sconfinata ammirazione per questo affresco, lo definì la più bella pittura del mondo. Grazie alle sue parole la città di San Sepolcro fu risparmiata dal bombardamento dell’artiglieria alleata durante la Seconda guerra mondiale. E questo lo ha testimoniato il capitano britannico Anthony Clarke che interruppe il fuoco ordinato sulla città (pur se i nemici si erano già ritirati) dopo essersi ricordato dello scritto di Huxley.
La prospettiva dell’immagine è quella di una finestra in cui il senso di profondità è realizzato grazie alle figure umane dei soldati addormentati che incorniciano il varco dal quale ritorna il Cristo vittorioso sulla morte. Sullo sfondo si vedono le colline toscane tipiche del paesaggio del Borgo, come veniva chiamata ed è conosciuta tuttora la città natale di Piero, San Sepolcro, che ospita l’opera più famosa dell’artista.
Ancora oggi le colline hanno lo stesso aspetto, per me sono i luoghi adottivi dell’infanzia, e Piero della Francesca sarebbe un concittadino onorario se il tempo fosse fermo. Sono andata a trovarlo qualche giorno fa nella sua casa natale e ho visitato la mostra in suo onore intitolata “Piero della Francesca. La seduzione della prospettiva” nella pinacoteca dove ammirare la Resurrezione restaurata a Marzo del 2018 e il polittico ligneo “della Misericordia”, con la centrale figura della Madonna.
Nel suo trattato Piero ha affrontato il problema di disegnare o dipingere su un foglio o una tela bidimensionali, in maniera realistica e corretta, figure tridimensionali che vanno da quelle astratte della geometria a quelle concrete della natura. Non fu Piero a inventare questa tecnica e non fu il primo a descriverla, ma fu il primo ad andare oltre i consigli tramandati dagli artisti, applicando il rigore della matematica per dare giustificazione teorica alle regole pratiche, iniziando uno sviluppo che i matematici francesi, come Pascal a Poncelet, avrebbero portato avanti tra il 1639 e il 1822 nella cosiddetta Geometria Proiettiva. Ogni mattina mi affaccio su un paesaggio che potrebbe essere quello di Piero e mi confronto con i piani delle colline, sovrapposti uno all’altro e lo sguardo tende verso la profondità e la sensazione di infinito. Ecco, il pittore vissuto tra il 1416/1417 e il 1492, è stato il primo a formalizzare con il linguaggio della matematica le regole e i metodi per riportare quella profondità su un piano, sulla parete affrescata o sulla tela dipinta.
E in questa sua ricerca e sperimentazione sulla prospettiva non si e occupato solo della riproduzione dei paesaggi e delle architetture, ma anche delle figure umane. Attraverso le sezioni orizzontali e verticali del cranio, Piero ha delineato metodi per rendere con i numeri la prospettiva dei volti che emergono dai suoi affreschi, dandoci l’impressione della terza dimensione per la prima volta nella storia dell’arte pittorica.
La mostra è in chiusura ma un libro, catalogo “Piero della Francesca. La seduzione della prospettiva(Marsili editore) la racconta riportando le immagini, i modelli, gli influssi, il contesto degli studi di un artista poliedrico, nato come matematico e predecessore del matematico Luca Pacioli, anche lui originario di Sansepolcro, che a detta di Vasari ‘plagiò’ parti del suo trattato sulla prospettiva.
Per le coincidenze che mi capitano quando acchiappo una parola, o lei cattura la mia attenzione, proprio in questi giorni stavo leggendo il libro intitolato “Il piano cartesiano dell’amore”, di Ester Arena (Edizione Il Seme Bianco) e la prospettiva di Piero l’ho associata a quella della scrittrice come un ponte tra la pittura e la matematica, tra la matematica e la letteratura.
L’immagine portante della narrazione in questo romanzo è infatti quella del piano cartesiano che in matematica viene utilizzato per rappresentare una funzione, ovvero la dipendenza tra due variabili, i cui valori scorrono sull’asse orizzontale delle X e l’asse verticale delle Y. Il protagonista del romanzo è un matematico che pensa alla sua vita come una funzione: “Una notte, una delle tante in cui non riuscivo a prendere sonno, ero seduto alla scrivania. Il computer era acceso e accanto c’erano i miei libri. Avrei potuto leggere, oppure distrarmi con qualche solitario, invece nulla. Il mio sguardo si perdeva nel bianco di un foglio da disegno. Mi dava l’idea di un vuoto che andava riempito, un po’ come la mia vita. Così , senza pensare e senza una ragione, avevo cominciato a disegnarci sopra due rette perpendicolari. Frazionare quel vuoto era già qualcosa, lo rendeva meno assoluto. (…) Ciò che avevo davanti era semplicemente un piano cartesiano. Era stato così che mi era venuto in mente, poi, di provare a descrivere la mia vita, mettendo insieme le emozioni e il mio tempo proprio su quel piano cartesiano. Speravo di potermi raffigurare come una curva, sarebbe andata bene anche una sinusoide con il suo andamento morbido, elegante, di respiro, per descrivere eventi belli o deludenti. Invece ero riuscito a disegnare una linea sostanzialmente piatta, perché nella mia vita non c’era stato nulla di importante che mi avesse emozionato davvero”.
Da questa prospettiva, il protagonista diventa un matematico e utilizza il linguaggio dei numeri e della geometria per leggere e interpretare, raccontandola in prima persona, la sua vita dedicata a un amore inconfessabile. È un amore impossibile, illecito, al confini con l’oscurità, eppure nasce e si sviluppa nell’animo del protagonista, che riesce a custodirlo, conservandone la purezza, grazie a una prospettiva matematica, grazie al suo riferirsi a formule precise per descrivere leggi fisiche, che incarnano la perfezione intrinseca nella natura. La storia narrata è difficile, dolorosa, e l’evoluzione della voce narrante potrebbe sconfinare nel racconto di un pedofilo, perché l’amore impossibile, eppure vero, reale, puro, è quello di un uomo per una bambina, che lui vede donna, o meglio donna/bambina, in una contrazione del tempo che annulla le categorizzazioni e che ci consente di riconoscerci tra anime, al di là dell’età con la quale appariamo.
Riconosco che il tema è ostico e avevo un certo timore nell’affrontare la lettura di questo romanzo, al quale tengo in modo particolare. Eppure l’autrice è riuscita nell’intento grazie alla parola prospettiva che è stata la chiave metaforica e matematica per attraversare un soggetto e raccontarlo mantenendo in equilibrio direi quasi perfetto le sfaccettature delle varie prospettive dalle quali guardare al sentimento del protagonista. Oltre la sua, che si trasforma raccontando di questo amore, c’è quella di chi giudica senza sapere o capire, quella di chi riconosce la sua sofferenza e quella dell’oggetto del suo amore, una bambina cangiante che sboccia nell’adolescenza e si avvicina all’essere donna.
La storia è complessa e quello che ho trovato efficace è lo sguardo del matematico, prima ancora che dell’essere umano, sulla vita e sul mondo. Il giovane uomo è un ricercatore e la sua visione del mondo si intuisce nel titolo di un articolo da lui scritto, “La bellezza che gli altri non vedono”. Il titolo diventa per noi la lente attraverso la quale cogliere la prospettiva dell’uomo affascinato da quello che si può vedere oltre l’apparenza della natura se si conosce l’aspetto matematico delle cose. “Un dipinto non è solo un dipinto, la musica non è solo musica, l’alba e il tramonto non sono solo questo (…): lo spettro dei colori, le onde acustiche flessuose, le regole del moto delle sfere celesti”. Gli esempi di questa prospettiva aiutano a descrivere, durante la narrazione, non solo il sentimento di un uomo ma anche il suo modo di osservare la vita e la natura, attraverso le leggi dei numeri e della geometria. Così una pigna non è solo fatta di squame che si aprono, ma osservandola il matematico ritrova “il profilo delle brattee che disegnavano il contorno della pigna formando due serie di spirali concentriche. Le avevo contate, ma non per il bisogno di una conferma. Solo per la gioia, tutta mia, di ritrovare il mio senso anche nella natura. Otto spirali con andamento in senso orario e tredici in senso antiorario. Tra le mani avevo due numeri consecutivi della serie di Fibonacci che la natura si diverte a usare, perché porta a un risultato d’innegabile bellezza, a un capolavoro matematico vegetale. Nel loro accrescimento, gli elementi vegetali si sviluppano, uno per uno, divergendo di un angolo, detto ‘aureo’, che consente l’impacchettamento delle squame senza che si accavallino o restino dei vuoti tra loro, formando le due serie di spirali.” I canoni del bello, della perfezione, della purezza, corrispondono a precise leggi e logiche matematiche e quindi sono riconducibili a formule.
Nelle descrizioni di curve come la cardioide o la lemniscata ho ritrovato la voce del mitico professore di Analisi I e II, De Vito, le cui lezioni, a noi studenti dei primi anni di Fisica all’università La Sapienza di Roma, hanno segnato generazioni di fanatici delle funzioni più incredibili. Le sue spiegazioni erano spettacoli e noi pendevamo dalle sue mani piene di gesso che scrivevano alla lavagna formule su formule e dal suo entusiasmo nel risolvere problemi all’apparenza irrisolvibili. Eppure c’era sempre qualcuno che ci riusciva, conquistando i suoi ambiti punti! Pensando alle intersezioni tra la matematica e la letteratura, penso all’intuizione e alla creatività, oltre che alla prospettiva, elementi che accomunano la ricerca in entrambi i campi.
Ester Arena è medico, oltre che scrittrice. Ha pubblicato alcuni racconti e questo è il suo primo romanzo. Ha scelto di raccontare la storia di un uomo, con una voce vera, credibile, osservata e riprodotta con la giusta prospettiva, come se la scrittrice avesse sezionato un essere umano, i suoi sentimenti, e avesse ricavato i numeri e le regole per raccontarlo con le parole su carta.
Un po’ come se Ester Arena avesse applicato gli studi sui volti di Piero della Francesca, per trovare i numeri adatti a riprodurli su tela, in modo da raffigurarne la tridimensionalità. Leggendo non ho potuto non pensare alla professione dell’autrice che, come medico legale, conosce la materia umana nel suo stato inerte. Forse è proprio questa sua esperienza a renderla abile nel trovare la giusta prospettiva per riprodurre su carta, con le parole, un sentimento complesso, difficile, sezionandolo nelle mille sfaccettature, come Piero ha fatto con i suoi crani, per scoprire le leggi numeriche e riuscire a riprodurre su un piano quello che esiste nello spazio in cui viviamo. Non c’è pedofilia nella narrazione di Ester, solo amore, nel senso più alto del termine, nel senso più puro di quel “conoscersi e riconoscersi” descritto da Calvino nel suo “Il Barone Rampante”. Credo che sia stata proprio la matematica la giusta chiave per calare noi lettori nella prospettiva di questo amore possibile e impossibile allo stesso tempo, finito e infinito, profondo e superficiale, destinato a sottostare alle prospettive umane, giudicanti, fuorvianti, crudeli, ingiuste, superficiali, ma capace di mantenere la purezza di una formula chiara e semplice, pulita come la funzione che descrive l’infinito all’interno della finitezza dell’essere umani.
Cosa c’è di più labile, soggettivo, inafferrabile, multidimensionale, soggetto al mutamento temporale, di un sentimento come l’amore? Eppure la penna di Ester utilizza la prospettiva geometrica, i numeri, per portarci nel reale nucleo di un sentimento. E noi lettori lo proviamo come se lo stessimo vivendo, come se ci attraversasse, lo riconoscessimo possibile, nostro, vero, autentico, puro, chiaro. Quello che avviene è simile a quando si osserva la realtà da ogni prospettiva possibile e la si riproduce fedelmente in un quadro, senza giudizio, solo con la penna o con il pennello del vero.