Lingotto 11: Allunaggio
Nel Salone del Libro, il direttore Nicola LaGioia ha voluto incastonare una piazza, o meglio ‘La Plaza de Los Lectores’, dove trovare libri, scrittori e parole in lingua spagnola. Lo spazio era gestito dalla famiglia delle librerie indipendenti, le 25 librerie che formano Colti, il primo Consorzio delle Librerie Indipendenti Torinesi ,come ‘La Gang del Pensiero’, ‘La Casa delle Note’, o ‘L’Angolo Manzoni’.
Ogni volta che passavo da un padiglione all’altro mi affacciavo nell’Oval a salutare i custodi di questo luogo di incontro con gli autori della metà del mondo dove si parla in lingua spagnola. È stato durante una di queste soste che mi sono imbattuta nella scrittrice Maria José Ferrada e nel suo piccolo libro dal nome un po’ strano ‘Kramp’ (Edicola Edizioni). Ne scrivo in questa estate rovente in cui si celebrano cinquant’anni dell’Allunaggio perché la storia intima, contenuta in un librino piccolo piccolo ma prezioso, parte proprio da quel 20 Luglio 1969. L’incipit inchioda (nel vero senso della parola) alla pagina successiva e a quella dopo ancora fino ad arrivare alla fine di una storia che sembra minuscola, rispetto alla storia di un paese intero quale il Cile, ma riguarda un’intera epoca scomparsa, non solo in quel grande paese:
“D. cominciò la sua carriera vendendo articoli di ferramenta: chiodi, seghetti, martelli, chiavistelli e spioncini per porte, marca Kramp. La prima volta che usci con la valigetta dalla pensione in cui abitava, non trovò il coraggio di entrare nel ferramenta principale della città, che a quei tempi era un paese, finché non ci fu passato davanti trentotto volte. Quel primo tentativo di vendita coincise con il giorno in cui l’uomo mise piede sulla Luna. (…) Nell’istante in cui vide Neil Armstrong muovere il primo passo sulla Luna, D. pensò che, con determinazione e il completo giusto, tutto fosse possibile.
Così il giorno dopo, alla fine della passeggiata numero trentanove, entrò dal ferramenta, con le scarpe più lustre che si fossero mai viste nella storia della città, per offrire al negoziante i prodotti Kramp. Chiodi, seghetti, martelli, chiavistelli e spioncini per porte. Non vendette nulla, ma gli dissero di tornare la settimana successiva. D. andò a bersi un caffè e appuntò su un tovagliolino: ogni vita ha il suo allunaggio.
(…) la settimana dopo D. mosse un passo in nome della sua stessa umanità: vendette mezza dozzina di seghetti e una di spioncini per porte. Quando uscì dal ferramenta con l’ordine nella valigetta, sentì che ogni felicità, grande o piccola, meritava di essere proiettata nella piazza di una città”.
Proprio sulla piazza della sua cittadina, D., protagonista della storia nel ricordo di sua figlia M., aveva assistito all’evento del piccolo grande passo sulla superficie lunare, assieme ai concittadini radunati dal sindaco ad assistere alla proiezione dell’evento su un maxischermo. L’Allunaggio fa quindi da cornice alla storia di un commesso viaggiatore, raccontata dalla voce di una bambina, che si trasforma molto presto in una ragazzina quasi donna, imparando le regole della vita da suo padre e da una famiglia non convenzionale e allargata: la famiglia dei commessi viaggiatori. Negli anni Settanta uomini con le loro valigette e i loro cataloghi si muovevano da una paesino all’altro del Cile per vendere ai negozianti le novità delle marche che rappresentavano. La voce narrante è quella di M., figlia di D., che vende dal catalogo Kramp, un contenitore descrittivo per ordinare utensili e accessori di ferramenta. L’autrice cilena, una giovane donna nata nel 1977 in piena dittatura, ha deciso di scrivere questo libro, che è una storia compiuta ma si sviluppa come una serie di micro racconti, pescando le parole nel silenzio di un periodo ormai estinto, di una famiglia dimenticata, quella nella quale è cresciuta, seguendo suo padre e aiutandolo nelle vendite dei prodotti Kramp.
C’è un detto in America che mi ha colpita quando lo lessi la prima volta a New York, in una stanza dove si riunivano gruppi anonimi per parlare della dipendenza: “Never look for oranges in a hardware store” (“È inutile cercare le arance dal ferramenta”). Più o meno significa che è inutile cercare aiuto o risposte dalle persone che non possono darcele. Capita infatti nella vita di aspettarci invano che una persona che non ci corrisponde risponda ai nostri messaggi, di chiedere aiuto a chi ce lo ha sempre negato, anche non volendo, di ripetere percorsi che notoriamente deludono le nostre aspettative, stupendoci di non arrivare al risultato che volevamo, come se davvero potessimo, con un po’ di fortuna, trovare un frutto succoso e maturo in vendita sui ripiani di un ferramenta, tra viti, chiodi e martelli. Con in mente questo insegnamento, che dovrebbe aiutarmi a sfuggire a un mio errore tipico, ho trovato spiazzante leggere nella profondità della scrittura di questa giovane autrice, che parla con la voce di una ragazzina, e trovare con lei il senso profondo di un percorso educativo avvenuto proprio tra chiodi seghetti e martelli. Nel momento della verità, non saranno gli attrezzi a rendere la ragazzina una donna, ma piuttosto sarà la vita stessa, unita al ritrovamento dei segreti nascosti nello zaino di sua madre, assente solo temporaneamente, ma pur sempre una figura materna.
La scoperta di una verità celata nella giovinezza di una singola persona è il simbolo di quello che è successo a un’intera generazione di persone, cresciute all’ombra della dittatura cilena, abituate ai segreti e ai silenzi, e quindi private della possibilità di conoscere la verità.
Ne ha parlato al salone l’autrice, dialogando con Monica Rita Bedana, curatrice del volume, oltre che Direttrice della Scuola di Spagnolo dell’Università di Salamanca a Torino, (ELE USAL).
“Avevo tredici anni quando in Cile è arrivata la democrazia”. Ha raccontato la Ferrada. “Come tanti della mia generazione abbiamo attraversato l’infanzia nel silenzio. Sotto la dittatura non si parlava di politica. E questo ci ha abituati a non fare domande, a cercare risposte in maniera autonoma, senza poterci confrontare e con una sensazione pervasiva di incomunicabilità. Non abbiamo imparato a discutere e anche da adulti è stato difficile vincere la paura, ci sono mancata le parole. Nel libro il non detto è importante. Ha un significato perché anche il silenzio dice qualcosa. Da bambina sono stata plasmata dai silenzi degli adulti. Un po’ come gli eschimesi che sanno raccontare tanti tipi di bianco, noi cileni sappiamo narrare tante sfumature di silenzi. Ho sempre sentito la necessità di ordinare un mondo caotico che non mi era stato spiegato dagli adulti”. E infatti la bambina protagonista crea ordine come se lo trovasse in un catalogo di quelli che suo padre usa per mostrare i prodotti Kramp.
La bambina dice che di tutte le famiglie quella più sopportabile è quella dei commessi viaggiatori, un mondo di uomini, dal quale si lascia adottare, imparando il mestiere, le tattiche, le piccole grandi bugie, i piccoli grandi imbrogli necessari per sbarcare il lunario in un’epoca in cui un ordine di bulloni poteva cambiare il corso della mesata. La storia ha elementi autobiografici, perché l’autrice accompagnava davvero suo padre nelle spedizioni di vendita. Il racconto ha chiari elementi autobiografici, riferiti a un’epoca scomparsa, caratterizzata da una dilatazione temporale rispetto all’oggi. I commessi viaggiavano da un paese all’altro, soggiornavano negli stessi hotel, ognuno di loro pronto a condividere i risultati della giornata o a raccontare con orgoglio le bugie imbastite per accattivarsi il cliente. D’altra parte, gli stessi negozianti elargivano spesso banchetti, dal pranzo alla cena, perché il tempo della vendita si dilatasse anche nel tempo delle storie e delle relazioni.
“Quando quel tipo di tempo è iniziato a venire meno, mio padre si è reso conto che il mestiere stava scomparendo”. Ha raccontato ancora l’autrice. “Ed è in memoria di quel mondo scomparso che ho scritto questa storia. Odio dimenticare le cose e la scrittura è un modo di non dimenticare. D’altra parte, non mi sono mai divertita così tanto come con mio padre e i suoi colleghi. Volevo recuperare quello sguardo che avevo da bambina, per il quale provo la nostalgia che si ha per le cose che spariscono”. C’è anche il cinema sullo sfondo del racconto, che offre alla protagonista la possibilità di vedere e rivedere gli stessi film più amati. Uno fra tutti è“Luna di carta”, che l’autrice dice di aver visto più di dieci volte, perché nella sua infanzia reale, i film erano quel poco che bastava per permettere ai genitori di ritagliare un piccolo mondo felice anche durante l’orrore della dittatura.
L’immagine che resterà per me memorabile in questa storia è quella del Grande Falegname. La bambina di nome M. riesce a creare una propria cosmogonia attorno agli oggetti del catalogo per prodotti di ferramenta, che suo padre D. utilizza per le vendite da commesso viaggiatore:
“A furia di sentire parlare dei prodotti Kramp, cominciai a usarli per capire come funzionava il mondo, e così, mentre i miei compagni dedicavano poesie agli alberi e al sole dell’estate, io rendevo omaggio a spioncini, pinze e seghetti. Inventavo anche congegni come ‘La Macchina per Sommare’, composta da un rettangolo di truciolato, chiodi e dadi (era un banalissimo abaco, ma io lo chiamavo così: ‘La Macchina per Sommare’). Mi ricordo che durante un campeggio uscimmo a guardare le stelle e, usando la Croce del Sud come punto di riferimento, spiegai ai miei compagni che quelle che scintillavano in lontananza non erano stelle, ma bullette da mezzo pollice con cui il Grande Falegname aveva appeso tutto in cielo. Noi inclusi. Quello che voglio dire è che ognuno cerca di spiegarsi il meccanismo delle cose con ciò che ha sottomano. Io, a sette anni, avevo allungato la mia e avevo trovato il catalogo dei prodotti Kramp”
Ho letto il libro in italiano, per la traduzione di Marta Rota Núñez, che ha reso benissimo il linguaggio di una bambina curiosa e abituata a usare poche parole, soprattutto legate agli oggetti di lavoro. La mia omonima Marta mi ha regalato nel salone la parola Ponte, a indicare come tradurre sia costruire ponti tra mondi e culture diverse. Le sono grata per la possibilità che mi ha dato di apprezzare una voce cilena e sentirla risuonare in italiano, scoprendo una generazione mia coetanea, cresciuta all’ombra dell’orrore, e capace di apprendere l’arte di raccontare, estraendo le parole dal silenzio. La parola che mi ha regalato invece l’autrice Maria José Ferrada, mentre autografava per me il suo libro, è Gorriòn, che vuol dire Passero.
Mentre scrivo di lei, del suo racconto dedicato al padre e a un mondo scomparso, e penso al canto degli uccelli che rompe il silenzio della campagna umbra, il tempo sembra davvero dilatato, sono passate parecchie settimane da maggio e dal salone, sono lontana anni luce dal Cile, dall’Allunaggio e dal mondo dei commessi viaggiatori, eppure le stelle di agosto potrebbero essere davvero bullette da mezzo pollice per tenere su il cielo, la terra e noi esseri viventi. Ogni tanto sembra che una ne cada, come nella notte di San Lorenzo, immortalata con l’immagine del pianto di stelle da Giovanni Pascoli. Anche lui scrive in memoria di suo padre e di un mondo scomparso, quello della sua infanzia, deprivata della figura paterna. Ne scrive come di una rondine uccisa in volo, nella stessa notte in cui ‘tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade’, e ‘sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla’.
Che succede quando una stella sembra cadere? Nel nostro emisfero accade ad agosto perché è il periodo in cui l’orbita terrestre attraversa la scia di una cometa chiamata Swift-Tuttle. Le comete sono agglomerati di ghiaccio, polveri e gas, in orbita attorno al Sole. Quando passano nel punto più vicino alla nostra stella incandescente, il calore scioglie il ghiaccio e le comete perdono detriti che si disperdono lungo le loro orbite. Nel caso della Swift-Tuttle, quando questa scia viene a contatto con l’atmosfera del nostro pianeta, i detriti si disintegrano e diventano meteore incandescenti, che chiamiamo stelle cadenti. O forse, ritornando al Grande Falegname della Ferrada, ogni stella cadente è una bulletta d’argento che si stacca dalla stoffa di velluto blu appesa all’intelaiatura concava che chiamiamo cielo notturno. Non tutti se ne accorgono. Ma chi sarà pronto a coglierne una in volo avrà la possibilità di sperare che un desiderio si avveri.