Lingotto 7: Alberi
[…Segue…] Sono passati ventisette anni eppure la bomba ancora risuona, un’eco che ogni anno si infrange su un albero, quello in Via Notarbartolo, oggi chiamato l’Albero Falcone.
Subito dopo l’attentato mafioso del 23 Maggio 1992, la strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, centinaia di palermitani si radunarono per manifestare la propria rabbia e il proprio dolore in quel luogo simbolico per dire no alla violenza mafiosa. È stato così che il ficus magnolia, l’albero sempreverde che si trova davanti alla casa del magistrato, è diventato un simbolo di rivolta e riscatto.
“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”, ha scritto una volta Giovanni Falcone, e la sua frase è diventata un manifesto della sua tensione morale e delle sue idee, quelle di un uomo che, alla domanda rivoltagli qualche anno prima durante un’intervista: “Lei vive in sostanza blindato. Ma chi glielo fa fare?”, aveva risposto, con un sorriso benevolo e appena accennato: “Soltanto lo spirito di servizio”.
Lo spirito di servizio. Quello che aveva anche Paolo Borsellino, anche lui ucciso a Luglio di quello stesso anno, dalla stessa mano mafiosa, assieme ai cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. I due magistrati sono diventati il simbolo della guerra contro la mafia, che loro stessi avevano dichiarato, avviando e portando a termine il Maxiprocesso. Vorrei ricordarli entrambi, due uomini che hanno sacrificato la loro vita in modo consapevole, spinti dallo spirito di servizio e dalla volontà di creare valore, come due alberi secolari, che restano saldi sulle loro radici, prestano un servizio insostituibile, solo apparentemente fermi ma in realtà in continua trasformazione, in movimento assieme a una moltitudine di esseri viventi simili, che ci sostiene e rende il nostro pianeta adatto alla vita.
Sono ancora in parte immersa nel Salone Internazionale del libro di Torino, se non altro perché passo da uno all’altro dei libri che mi sono riportata a casa. E la parola Alberi ritorna spesso nelle letture di questi giorni. D’altra parte è una delle parole che mi ha regalato Lelia, l’amica della quale sono stata ospite a Torino, che mi descriveva i gelsi che in inverno si intravedono emergere dalla nebbia mattutina, con le loro strutture messe a nudo dalla potatura, a riposo, prima che sopraggiunga una nuova primavera. Ci penso oggi, in memoria di due giudici assassinati dalla mafia, guardando la foto di un albero simbolico, ricoperto di messaggi, che resta a testimoniare le voci degli onesti: persone che creano valore mettendosi a servizio della legalità.
Gli alberi nel Salone avevano tante forme. Mi hanno attirato le loro foglie da una torre di libri intitolati: “La nazione delle piante”. L’autore è Stefano Mancuso che per la casa editrice Laterza ha anche pubblicato “L’incredibile viaggio delle piante”. Quest’ultimo è stato scritto prima ed è un bellissimo libro illustrato che dimostra quanto le piante non siano immobili come siamo abituati a raffigurarcele. “Nonostante le piante non possano spostarsi nel corso della loro vita individuale, di generazione in generazione sono in grado di conquistare le terre più lontane, le aree più impervie e le regioni meno ospitali per la vita, con una caparbietà e una capacita di adattamento che tante volte mi sono trovato ad invidiare”, scrive l’autore. E in questo libro presenta tante possibili migrazioni di piante: dagli spostamenti dei semi, alle spore, alla diffusione grazie all’aiuto di animali, Mancuso racconta esseri viventi molto diversi dagli animali, ma non per questo più semplici o meno sviluppati. Anzi, se si mettono a fuoco le caratteristiche peculiari, è possibile prendere esempio dalle piante, immaginandole come una nazione: “mentre negli animali conta più l’individuo, nelle piante il gruppo”. E, considerata la loro inarrestabile capacita di adattarsi, proprio le piante possono fornirci la soluzione per curare il pianeta, che è un po’ quello che hanno sempre fatto.
Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale all’università di Firenze (LINV), delinea nel suo libro gli otto punti di una costituzione immaginaria sulla quale si regge la vita delle piante. Perché le piante, gli alberi, “come genitori premurosi, dopo averci reso possibile vivere e resesi conto della nostra incapacità di svilupparci autonomamente, corrono di nuovo in nostro soccorso, regalandoci delle regole – in verità, la loro stessa costituzione – da seguire come vademecum per la sopravvivenza della nostra specie”.
Art. 1 La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene a ogni essere vivente
Art. 2 La Nazione delle Piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono
Art 3 La Nazione delle Piante non riconosce le gerarchie animali, fondate su centri di comando e funzioni concentrate, e favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate
Art. 4 La Nazione delle Piante rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni
Art. 5 La Nazione delle Piante garantisce il diritto all’acqua, al suolo e all’atmosfera puliti
Art. 6 Il consumo di qualsiasi risorsa non ricostruibile per le generazioni future dei viventi è vietato
Art. 7 La Nazione delle Piante non ha conflitti. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi, vivervi senza alcuna limitazione
Art. 8 La Nazione delle piante riconosce e favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi come strumento di convivenza e progresso.