Cello

Cello

Febbraio 27, 2025 0 Di Marta Cerù

Equilibrio nel movimento. Silenzio tra le note. L’impegno di rispettare il proprio talento. Un rapporto con un violoncello Antonio Stradivari 1673 du Pré, che ha un carattere forte, con il quale riuscire a trovare l’accordo è la sfida continua. Quando l’accordo c’è, vale la vita del musicista e del suo talento. Ecco perché la sfida dura per tutta la vita dell’artista. István Várdai l’ha accettata da quando ha abbracciato per la prima volta un violoncello e ha capito che sarebbe stato il suo strumento.

La vita fino a oggi di questo straordinario musicista di fama internazionale, ancora non quarantenne, scorre nel documentario ‘Non solo cello’, della regista Eszter Száraz, (Trion Film), che ha voluto trasmettere l’evoluzione di un artista giovane, ancora in formazione, in movimento, che si destreggia nella complessità di una carriera da solista, insegnante e direttore d’orchestra. Il progetto è iniziato prima del Covid ed è proseguito per quattro anni di riprese dal vivo, un puzzle montato ad arte per raccontare il disegno di una vita musicale, fin dalle prime note.

Sono andata a vederlo all’Accademia di Ungheria. Erano presenti lo stesso Istvám, la regista Eszter e la violista dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Ilona Bálint, anche lei di origini ungheresi. Arrivavano dopo le prove in Auditorium Santa Cecilia, per il concerto per solista e orchestra in cartellone per la direzione di Tugan Sokhiev,. Programma di sala: il Concerto per violoncello n. 2 e l’Ouverture Festiva di Šostakóvič e la Shéhérazade di Rimskij-Korsakov.

Dopo la visione del documentario è seguito un dialogo tra gli ospiti e il pubblico. In una delle prime scene del film, Várdai racconta di come da bambino sia rimasto colpito dalla visione di una giovanissima artista circense, una ragazzina praticamente, che padroneggiava con estremo controllo le sue esibizioni acrobatiche. Isztván non aveva ancora iniziato a suonare, ma nella sua scoperta del violoncello e durante gli esordi come musicista ha portato con sé quell’esempio, l’idea di esercizio e testardaggine necessari ad allenarsi e migliorarsi sempre. È così che descrive il suo rapporto con lo strumento e questa continua aspirazione è il nucleo centrale del documentario.

Nel film, il giovane musicista è sempre in movimento, a volte solo, ma più spesso accompagnato da altri artisti, citati o filmati durante prove o esecuzioni dal vivo. La scena memorabile che porterò con me è quella di un concerto a sala vuota in pieno Covid. Várdai suona accompagnato da Vikingur Ólafsson, nell’Auditorium del Mupa Budapest, privo di pubblico a causa delle restrizioni Covid. In sala, presenti solo telecamere e microfoni. I due suonano e la ripresa arriva in diretta agli spettatori accomodati nelle loro automobili parcheggiate in stile drive in di fronte a un maxi schermo. L’audio viene dalle autoradio. E gli applausi finali saranno i clacson e il lampeggiare dei fari! Se ci sono persone disposte a questo per ascoltare musica dal vivo, allora il ruolo del musicista ha un senso profondo, riflette Várdai osservando la scena dalla terrazza dell’Auditorio in notturna.

Ci sono tanti fili in questa storia. Il primo e il più forte riguarda le radici familiari. La prima formazione Várdai l’ha avuta in famiglia, figlio di musicisti, ma anche nipote di una nonna che lo tiene ancorato alla natura. C’è poi il filo da ricamo delle relazioni tra musicisti, che si trovano a suonare come bambini in un parco giochi. Solo che il parco abbraccia tutto il mondo e unisce persone provenienti da luoghi diversi che si riconoscono nella musica, grazie alla musica e per la musica. 

Ci sono i maestri, László Mező della Classe di Talenti Speciali dell’Accademia Franz List di Budapest, Reinhard Latzko dell’Accademia musicale di Vienna e Frans Helmerson della Fronberg Academy, dove attualmente il giovane musicista è insegnante. Ci sono infatti i suoi allievi, i giovanissimi che lo seguono da anni. C’è l’intimità della famiglia, dei figli, dei giochi, e del rivedersi bambino a suonare accompagnato dal padre al pianoforte.

Soprattutto c’è il protagonista del documentario, il violoncello, il compagno di una relazione per la vita, colui che sarebbe muto se non trovasse il musicista adatto ad abbracciarlo. Esiste prima di lui, è nato prima ancora che Bach nascesse, eppure dà suono alle Suites di Bach per violoncello solo, tante e tante volte suonate da Várdai, ogni volta per scoprire qualcosa di nuovo e continuare testardamente a migliorarsi. Sempre.