MPA
Spesso nella vita si decide di fare qualcosa per qualcun altro, per delle motivazioni che si agganciano a fattori esterni, ma poi si scopre che in realtà la spinta vera veniva dal profondo del nostro essere. A me è successo con il ‘Corso di meditazione per ragazzi e adulti’, organizzato a Favignana a fine Luglio da Sabina Micaglio, councelor socio educativa e fondatrice di VITARMONICA. La meditazione è quella chiamata MPA – MEDITAZIONE PROFONDA AUTOCONOSCENZA. Mi ero iscritta pensando alla scuola, al mio percorso di insegnante, agli studenti che avevo spinto verso il corso della stessa Micaglio, partito a Maggio nella mia scuola per la mia convinzione profonda che la scuola debba offrire percorsi educativi di questo tipo. Ne avevo avuto un assaggio, della teoria e delle tecniche insegnate da Sabina, e mi ero detta che se volevo davvero allargare a macchia d’olio questo approccio alla didattica, dovevo essere io stessa a farne esperienza.
Con questo spirito sono arrivata a Favignana e con questo spirito ho partecipato alle prime sessioni del corso: stavo facendo qualcosa per il mio lavoro e per i miei studenti. Fin dalla prima ‘discesa a zero’ (il primo degli esercizi preparatori alla meditazione profonda, insegnati da Sabina), dal momento in cui sono entrata in contatto con parti di me che avevo messo a tacere, condotta per mano da Sabina, affiancata da suo marito Adriano Stefani, psicologo e co-conduttore del corso, ho sentito che non aveva alcuna importanza il pretesto per cui mi trovavo a Favignana, che a quel punto c’ero e la persona in gioco ero io, l’Io che si manifesta quando affermiamo ‘Io sono’.
Il primo beneficio di trovarmi assieme ad altre persone, di età variabili dai 15 agli 80 anni, ad affermare ‘Io Sono’, a prescindere da ruoli e maschere, è stato denudarmi di quei ruoli e di quelle maschere, sperimentando un senso di spaesamento e di profonda solitudine. Con il vantaggio di attraversare questi sentimenti accompagnata da anime affini, in cerca anche loro di accedere a quel luogo interiore dove ci si riconosce nell’essere. Da quella percezione iniziale, ho intrapreso un viaggio di trasformazione, durato forse solo una settimana, ma dagli effetti senza limite di tempo. Non dimenticherò mai l’incontro con la mia ‘bambina interiore’, il processo per riconoscere la mia ‘convinzione di base negativa’ (CBN), quello per individuare la convinzione di base positiva (CBP), o per dialogare con una parte di me che avevo completamente sepolto e nascosto. Ho ancora vive in me le sensazioni della prima meditazione profonda, seguita alla meditazione dinamica (guidata da Adriano Stefani che l’ha introdotta nella sua pratica adottandola da Osho), così come i tanti altri paesaggi attraversati in questo viaggio interiore, protetta dai paesaggi esteriori di un’isola bellissima come lo è Favignana.
Potrebbe già questa essere una testimonianza della validità di un corso estivo che consiglierei a tutti coloro in cerca di un senso della vita, ma resterebbe troppo generica. Quello che vorrei trasmettere è la prefazione di un eventuale diario di questo viaggio. E quindi parto da un mio blocco importante, e cioè quello di non essere stata mai capace, da quando ho iniziato a scrivere per mestiere e non solo per piacere, di definirmi una scrittrice. Ho lavorato con la scrittura, sono stata giornalista, ho scritto tesi, pubblicato un libro, molti articoli, ho accumulato racconti, poesie, ho scritto innumerevoli recensioni della scrittura altrui, ho letto tutta la vita e ho scritto da quando ho saputo farlo, ma dire a me stessa e al mondo ‘sono una scrittrice’ non sono mai riuscita a farlo. Al punto che, iniziando per passione questo blog mi sono creata la definizione di ‘scrivente’. Sono una ‘scrivente’, mi sono detta per tanti anni. E questo mi bastava a spiazzare qualunque interlocutore, a partire da me stessa.
Non serve qui analizzare perché avessi questo blocco. Ma uno dei momenti più profondi di questo corso è stato proprio riconoscerlo capirne le motivazioni. A quel punto ho sentito di poter uscire dalla mia zona di confort per dichiarare davanti a tutti il mio essere una scrittrice e una poeta. Questa esperienza, nel linguaggio del corso, si chiama prova iniziatica: individuare una delle cose che più ci terrorizza e che evitiamo di fare per qualsiasi motivo, e decidere di metterci alla prova con un’azione in controtendenza con il nostro blocco. Poco importa quale sia la cosa, piccola o grande. Quello che importa è arrivarci attraverso la meditazione, e scavare grazie agli strumenti acquisiti durante il corso, per capire senza nessuna influenza esterna, quale sia un blocco importante sul quale vogliamo agire. Poco importa che io scriva poesie da anni, che le accumuli, ci lavori piano piano, le custodisca per poi tornare a lavorarci ancora, e magari sentire che qualcosa ha la forma giusta, che si accorda con il sentimento, che lo plasmi e lo comunichi. Poco importa che questo mio scrivere abbia dato vita a un corpo, che ha preso la forma di un progetto, di un libro, attraversato da un filo rosso che solo io potevo trovare. Poco importa tutto ciò, se ogni volta che ne parlo a me stessa, sminuisco a priori il risultato del mio lavoro di scrittrice definendomi una scrivente.
A partire da questa consapevolezza, la mia ‘prova iniziatica’ è stata stampare il corpo principale del libro che vorrei pubblicare e andare nel bellissimo giardino di Villa Florio a chiedere a chi sostava sulle panchine un tempo di ascolto di una delle mie poesie, da scrittrice e poeta. Non avevo mai fatto nulla di simile. Mi sentivo imbarazzata e inadeguata, ma allo stesso tempo ero ferma, determinata, avevo deciso di provarci. E lo avevo dichiarato a testimoni dei quali non potevo tradire la fiducia. La commozione negli occhi delle persone che ho incontrato durante questa esperienza è stata un balsamo su ferite antiche. Anche in quei momenti, nello stesso atto di chiedere a qualcuno di ascoltare la lettura di una mia poesia, quando credevo di stare dando qualcosa di me, rendendomi forse ridicola o offrendo una sponda al respingimento, in realtà ho ricevuto tantissimo: lacrime di commozione da parte di un signore siciliano che in cambio mi ha letto una poesia in dialetto che parlava della passione di Cristo; lo sguardo di due occhi lucenti di una donna di nome Lucia. “Come mia figlia”, le ho detto. E le nostre anime si sono riconosciute; la condivisione di una donna che un tempo si svegliava all’alba e scriveva a occhi chiusi poesie. “Non mi capita più”, mi ha detto. “Riprendi ad ascoltarti le ho detto io”; il bel commento di un liceale, “Sembra una poesia che si legge sui libri. Ma l’ho sentita piu bella”; infine l’ascolto di un giovane fotografo belga che vive a Zanzibar, in viaggio con sua madre Marie, che mi ha detto in francese di aver ascoltato la mia poesia attraverso i sensi, “come diceva Baudelaire”, mi ha detto, “la poesia dei sensi”, poi mi ha chiesto se poteva farmi delle foto. Lui si chiama Guillaume Balois, mi ha poi mandato le sue foto e i suoi riferimenti come fotografo/regista di ZanziFilms
Non posso dire che questo sia l’unico effetto di cosa è successo alla mia vita, a partire dai processi messi in moto durante il corso. Credo che questo racconto sia una pillola pratica che vorrebbe infondere coraggio.
Quello che penso sia importante è che, al di là della prova in sé, qualcosa si è aperto dentro di me. Un muro è crollato, una barriera si è alzata, una gabbia è sparita. Quali erano i mattoni, quali i pannelli o le maglie di queste costrizioni? Le mie convinzioni di base negative: sono vuota, mi sono detta per anni, non ho nulla da dire, sotto tutte le mie maschere non c’è davvero nulla, solo un falso. Si tratta di percezioni dolorosissime, delle quali in un certo senso provo vergogna, soprattutto per come mi sono sempre posta all’esterno, per le fortune che ho avuto di raggiungere quasi sempre gli obiettivi che mi ponevo, per le posizioni di responsabilità che ho assunto, nella vita diventando madre e nelle varie esperienze lavorative, anche quelle nella scrittura. Eppure tutto quel sentire oscuro è sempre stato dentro di me.
E cosa ho visto dal crollo del muro in poi? Potrei dire la luce, che è la risposta più semplice e in fondo la più autentica possibile. Ma vorrei essere più specifica. In realtà ho visto comunque il vuoto, ma la mia percezione di quel vuoto si è trasformata. Il vuoto serve quando si è un canale. E il mio essere è fatto per essere attraversato dal mio corpo e dalla mia mente, entrambi efficienti strumenti per la scrittura. Perché la scrittura non è mia. È un’azione alla quale io corrispondo bene per trasmettere parole che mi arrivano e che devono arrivare. Da dove non lo so, né tantomeno dove. E forse questa è la cosa più bella. Riconoscere il mistero. E di quel mistero riconoscersi parte.