Ludico
(Premetto che alcune parole di questo articolo mi sono state regalate da un gruppo di giovanissimi universitari, sono nascoste nel testo che è gioco e nel gioco che è testo….). La parola ludico mi è arrivata tra le note dell’ultimo concerto nel cartellone IUC (Istituzione Universitaria dei Concerti), il brano alla fine del programma la sinfonia “Degli addii” di Hayden. L’Orchestra da camera Canova è composta da giovani musicisti, diretti da Enrico Saverio Pagano, classe 1995, consigliere artistico della Iuc. È stata una vera gioia vederli salire esuberanti sul palco con i loro archi e fiati. La star del concerto era la giovane violoncellista Erica Piccotti, nata nel 1999, colorizzata e sblunga (quasi quanto i nati nel Duemila), che ha suonato il concerto per violoncello e orchestra in la minore op. 129 di Schumann.
Ma il momento per me più commovente del concerto è stato quando, durante la sinfonia di Hayden, uno alla volta i musicisti hanno smesso di suonare e si sono allontanati dal palco per ascoltare dal pubblico. La musica proseguiva, suonata da chi resta fino alla conclusione, un duetto tra primo e secondo violino, assente anche il direttore. In quel momento ho percepito l’emergenza rumorosa dell’insieme dalle voci dei singoli, non rumorosi, nella sovrapposizione che origina l’armonia dagli innumeri numeri. Ed è stato magnifico quel saluto, quell’addio che voleva essere un arrivederci.
Da ieri avrei dovuto essere al Salone del Libro di Torino al Lingotto. Avevo il pass di wordfetcher, il biglietto del treno, e avrei potuto attraversare lo specchio assieme ad Alice. Ma arrivavo da settimane faticosissime con la scuola, di concentrazione massima per il rush finale tra programmi e valutazione, e di uno stato fisico di particella instabile. Fino all’ultimo non davo per certo di materializzarmi al Lingotto, e infatti così non è stato: assente eppure presente anche quest’anno. Lo spirito galleggiava tra le notizie alluvionali e faticava a trovare una boa, un senso, un desiderio di immersione nelle parole del Salone. ‘Lo specchio che devi attraversare è qui nel tuo salone’, mi sono detta, ‘prova a cercarlo nello stare, anziché inseguirlo nell’andare’. Così non sono partita. Sono rimasta a Roma, che non manca di saloni e salotti pieni di specchi visibili, invisibili e metallici!
Dicevo ludico, ludoteca, apprendimento ludico, il gioco era entrato nei miei pensieri durante un corso di formazione del personale scolastico, organizzato da Scuola Futura. Si intitolava appunto Gamification e Game Based Learning, a partire dal tema della transizione digitale. Negli spazi della scuola dove insegno, il Torricelli/Cartesio, che chiamarli salone è a volte riduttivo, a volte un’utopia, a volte un ossimoro, o chissà quale controsenso, ero passata da un’aula all’altra nel mio personale Salone Off. Avevo ascoltato proposte e stimoli di vari formatori e formatrici su temi legati alle tecniche ludiche in campo digitale e non, per creare ambienti di apprendimento che aggancino l’interesse, la cooperazione, il desiderio di approfondire, la curiosità, attraverso i giochi: una vera battuta di pesca, per dirla con le parole di un’Alice generazione Z.
Uno fra tutti, il laboratorio per me più funzionale, è stato quello che di digitale aveva poco o niente. Le guide sono state i due autori del primo libro in italiano su apprendimento e didattica ludica: Andrea Tinterri, neuroscienziato cognitivo, e Massimiliano Andreoletti, docente all’Università Cattolica di Milano ed esperto di Game Based Learning. Così, durante il primo pomeriggio di apertura del Salone, ho attraversato lo specchio nascosto all’interno della mia scuola, e scoperto un libro e due autori che, giocando, mi hanno accompagnata a percorrere la Linea del Tempo. Il loro invito è stato di immaginare applicazioni del gioco di carte classico Timeline (casa editrice Asmodee Italia), per la fisica e la matematica. Il libro dal titolo “Apprendere con i giochi”, uscirà a settembre per Carocci Editore. Intanto la loro parola, ludico, rimbalzava tra i miei neuroni, per ripresentarsi al momento opportuno. E cioè all’uscita del concerto in Aula Magna dell’Università La Sapienza, durante una chiacchierata con un gruppo di giovanissimi, anno di nascita Duemila, in prevalenza studenti di fisica, una studiosa di restauro e un’altra di belle arti, o meglio di regia.
Il Salone della Sapienza mi ha regalato lo specchio da attraversare per tornare indietro nel tempo della mia generazione X, e avanti nel futuro della generazione Z, ragazzi e ragazze entusiasti e impegnati nei loro studi. Anche noi ci si fermava a parlare per ore, noi studenti di fisica con amici di architettura, psicologia, sociologia, giurisprudenza, matematica, filosofia, biologia…, divagando da un problema di analisi all’altro, da carrucole a piani inclinati a oggetti rotanti, fino ad addentrarci nelle teorie della scuola di Palo Alto, nel comportamento di neuroni, di topi, di serpenti, nelle visioni future di quello che i computer ci avrebbero permesso di calcolare, progettare, riprodurre, simulare. I fisici amano giocare. È un dato di fatto. Lo diceva Richard Feynmann e tanti altri. E non lo hanno smentito le nuove leve, Andrea e il suo gruppo di amici e amiche, invischiati in una sorta di muco che non ci permetteva di salutarci, al punto che mi hanno invitata a raggiungerli per la festa del compleanno di Giuliano, studioso di particelle (più che altro teoria dei campi), nel pub ludoteca Ludico Game, dove andavano a confrontarsi sui tavoli da gioco.
Non li ho raggiunti nel mondo reale. Ma nello spirito sì. Sono stata con loro tutta la sera, a pensarli, immaginarli, sognarli, trovare un senso alla me che sono stata, a dove sono adesso, perennemente inadeguata e fuori tempo e luogo, un po’ persa tra menti troppo avanti per il mio pensiero lento, ma attenta a cogliere e accogliere sguardi, emozioni e fili da intessere in un gomitolo dove inserirmi, una nota tra le tante. Sono stata e continuo a sentirmi oggi, una pedina, a volte confusa tra le mosse di altri, ma comunque partecipe, ci sono, sono qui, qualche missione dovrò pure averla, in questo gioco che chiamiamo vita, le cui regole non sono purtroppo uguali per tutti. Ma c’è sempre qualcuno che ce lo ricorda, per fortuna, riuscendo a colorizzare il grigiore di ogni tempo.
Mi sono commosso leggendo questo collage. Anche quando ci sembra che la nostra linea di universo sia lontana un intervallo spaziale con quella degli altri (e che quindi ci sentiamo incomunicabili e irraggiungibili da tutti [e viceversa]), ogni tanto il caso ci ricorda che le linee vanno a propulsione di solletico. Anche se la distanza e’ spaziale, in un qualche sistema di coordinate con qualche metrica meno categorica, le linee passano vicine vicine e si solleticano. Il solletico e’ la emozione intima che ci da la scarica elettrica tutti i giorni. Tramite questi metodi di insegnamento all’avanguardia e a ad ambiente che insegna alla cooperazione i ragazzi possono ricaricarsi di solletico e riuscire a solleticare anche chi e desolleticato.