Genio

Genio

Aprile 1, 2023 0 Di Marta Cerù

Come vedremmo il mondo se Albert Einstein non fosse esistito? Quale sarebbe oggi la nostra visione del cosmo senza la persona del secolo breve, come fu immortalato sulla copertina del Time, agli albori della transizione nel secondo millennio?

Ovvero, come il genio del fisico più conosciuto al mondo ha rivoluzionato la storia dell’astronomia? Lo racconta il Prof. Piergiorgio Odifreddi nella meravigliosa conferenza spettacolo che ha progettato assieme al registra e direttore artistico del Teatro Pubblico Ligure Sergio Maifredi e che va ancora in scena a Roma fino a domenica 2 Aprile dal palco del Teatro Vittoria.

Sono andata ad assistere allo spettacolo tre volte, e non è detto che non ritorni, fino alla sesta replica, per catturare ogni volta qualche nuova parola che aiuti anche me, fisica perduta, a capire fino in fondo il senso e le conseguenze di quella relatività generale studiata negli anni ormai lontani della formazione. La bellezza del racconto di Odifreddi è in quella sua originalità di pensiero, da matematico e grande divulgatore della scienza, abile nel dipanare una matassa intricata come quella della storia dell’astronomia. A partire dalle menti geniali di Galileo Galilei e Isaac Newton, il professore arriva ad Einstein, e riesce a sciogliere i nodi di una rivoluzione complessa, utilizzando lo strumento a lui più congeniale, quello del pensiero logico matematico.

Ci vuole coraggio nel mostrare sullo schermo di un teatro l’equazione del campo gravitazionale, dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, composta di tensori e costanti, incomprensibili per quasi tutti noi. Eppure, anche quella immagine viene presentata con la chiarezza del pensiero a monte, quello relativo al segno di uguaglianza: a sinistra dell’uguale la geometria dello spazio-tempo e a destra la materia-energia.

Il racconto parte da lontano, comincia con Copernico, narra di Giordano Bruno arso sul rogo, di Galileo e della sua abiura, per arrivare a descrivere il genio di Newton, la pervasività della sua legge di gravitazione nella cultura tutta (quella che non distingue tra scienza e umanesimo). Una legge diventata universale, perché capace di descrivere, non solo i moti del nostro sistema solare, ma anche quelli delle comete che lo attraversano, per scomparire alla nostra vista. Odifreddi è ormai noto per l’ironia e la profondità delle sue divagazioni, che in questo racconto riguardano Voltaire, Diderot, Tolstoy, gli aneddoti sulla mela di Newton, sulla peste che lo costrinse a ritirarsi e studiare in campagna.

Fu in quegli anni che lo scienziato londinese diede vita alla rivoluzione che esporrà nei suoi “Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica“, un libro ben diverso dal “Dialogo sui massimi sistemi del mondo” di Galileo Galilei, perché costruito sul genio del calcolo matematico, della tecnica dell’analisi degli infiniti e degli infinitesimi, alla quale Isaac Newton diede l’avvio.

Dalle fondamenta del pensiero che precede Einstein, il racconto dipinge con parole scelte un personaggio come lo scienziato stravagante diventato uomo del secolo Novecento, cercando di mantenere il fuoco quasi esclusivamente sull’impatto delle sue teorie nel campo della gravitazione e quindi della cosmologia. E le direzioni verso le quali veniamo guidati come spettatori non passivi (è impossibile non sentirsi partecipi attivi nella tessitura che Odifreddi compone, intrattenendo il pubblico con la sua conferenza spettacolo) sono quelle di come vediamo l’Universo dopo Einstein, come evolve, cosa contiene e chi contiene. Gli esempi e i controesempi spaziano dai numerosi Nobel dati alle ricerche di scienziati che hanno avvalorato le teorie di Einstein, alla descrizione dei buchi neri e alla splendida e chiarissima spiegazione di come l’universo stesso sia un buco nero. C’è la scienza di Interstellar e il racconto di un personaggio come Kip Thorne, fisico e sceneggiatore di quel film, che ha messo le tecniche cinematografiche a servizio del racconto sui buchi neri. Nonché autore di un libro che Odifreddi ci consiglia di leggere: “La scienza di Interstellar. Viaggiare nello spazio tempo” edito da Bompiani. C’è l’analisi di cosa voglia dire vita nell’universo che conosciamo. E di come sia cominciato e si stia evolvendo l’universo.

Il racconto potrebbe terminare con la morte del grande scienziato, ma l’eredità di un genio come Einstein ha una importante componente sociale e politica, derivante dal suo impegno contro le armi nucleari, espresso nel famoso Manifesto Russell-Einstein, da lui firmato assieme a Bertrand Russell.

Quando la conferenza spettacolo sembra arrivata al capolinea, Odifreddi non ci abbandona, ma prende una direzione di vitale importanza nell’attuale universo, quella del racconto di cosa abbia voluto dire e cosa voglia dire oggi schierarsi dalla parte di una scienza per la pace. Da Einstein e dal Manifesto, nacque il movimento Pugwash (che prende il nome dal luogo in Canada dove si svolse la prima conferenza, nel 1957, dedicata alla scienza e le questioni mondiali), che vinse il premio nobel per la pace nel 1995. Uno degli ultimi personaggi di questo magnifico racconto è la figura dell’unico scienziato che coraggiosamente abbandonò i laboratori di Los Alamos quando divenne chiaro che i tedeschi erano ben lontani dalla costruzione dell’atomica. Joseph Rotblat (1908-2005), fisico polacco, fu l’unico che si rifiutò di continuare la corsa verso la costruzione e l’uso della bomba atomica da parte del governo americano, in seno al Progetto Manhattan, e giustamente fu lui a ricevere il Nobel assegnato a Pugwash.

Se è vero che credere nella scienza sia una sorta di percorso spirituale, non è così quando si diventa scienziati asserviti a qualsiasi potere. E questa linea di confine, davvero labile, non può essere lasciata nell’ombra, deve rimanere chiara, un confine visibile e illuminato, ben presente nella coscienza di ogni essere umano e in particolare in quella degli scienziati che, per concludere con le parole del grande genio, “nella nostra epoca, votata in generale al materialismo, gli scienziati sono i soli uomini profondamente religiosi”.