Plpl2022-Margini
Margini è la prima parola che mi piove dalla nuvola arrivando per la quarta giornata di Piulibri2022. Quarta come il quarto anno da quando ho creato questo spazio, il mio blog, nato come una visione, un miraggio, mentre uscivo da Plpl2018 e fuori pioveva. Avevo con me un ombrello viola e quando l’ho aperto uscendo dalla nuvola rossa ho immaginato che mi rovesciasse addosso tutte le parole che aveva raccolto durante i giorni della fiera. Ho ascoltato il vuoto di uno spazio mentre si riempiva di parole che, come pezzi di stoffa, dovevo cucire in un ‘patchwork’, lasciando che il margine di una parola incontrasse quello dell’altra. Un po’ come la copertina del libro di racconti di Ester Arena per Ensemble Editore, dal titolo per me molto evocativo “Ground Zero”, un collage di pezzettini di stoffa colorati, quali storie sapranno raccontarci grazie alla penna della scrittrice?
“Il margine è un luogo della libertà”. Mi sono appuntata questa frase mentre ascoltavo Nadia Terranova che partecipava a una tavola rotonda sul tema della “Letteratura per ragazzi nei corsi universitari: serie A o serie B?”, moderato da Cristina Bellemo, con Linda Cavadini, Ilaria Filograsso, Maria Greco e Nadia Terranova.
Il tema era quello di ricucire le sfaccettature, o le caselle, di tante definizioni di letteratura, in un’unica coperta. Argomento davvero complesso, data la diversità di registri, di forme, di stili, di fasce di età, di voci interne al coro e di voci fuori dal coro, di lettori esigenti che scelgono i libri ma non li comprano. E di genitori quindi, che si intromettono nelle scelte dei loro figli. La letteratura per ragazzi, la letteratura per l’infanzia, fatica a rientrare nel vasto campo della letteratura, punto. E rimane ai margini. Che non è in assoluto una cosa positiva, ma può esserlo per chi scrive, può rivelarsi come uno spazio dove esercitare un’autonomia dalle leggi della performance, sperimentando la propria libertà di scrivere, inseguendone l’urgenza più che le logiche di mercato.
Il margine non è una frontiera, parola più di moda forse, più costrittiva nell’implicare un oltre al quale tendere. Piuttosto è una parola che stimola la ricucitura. Quella operata da donne come Linda Cavadini, insegnante capace di studiare con i suoi studenti per conoscere quale panorama della letteratura li attrae, e aiutarli meglio in quel deserto dell’ascolto che troppo spesso diventa la scuola. Linda mi regala la parola Caparbietà, come quella che ci vuole per cambiare le cose da dentro, non andando dritti per la propria strada e creando polarizzazioni, ma “avvelenando i pozzi”, goccia a goccia. Le sue gocce sono parole che parlano di una scuola dove nulla è scontato rispetto alla lettura. Dove i giovani e le giovanissime possano avvicinarsi ai libri come a specchi e a finestre. Specchi dove riconoscersi, finestre da aprire per cambiare il proprio punto di vista. “Sono arrivata alle Medie”, condivideva Linda durante la tavola rotonda sul tema della letteratura per l’infanzia, “e volevo portare in classe le storie. Quelle che ho amato, che mi hanno formata. Ma ’Il sentiero dei nidi di ragno’ o ‘Il barone rampante’ non avevano successo, eppure per me erano stati la rivoluzione. Così mi sono messa a studiare ed è stato bellissimo. Studiare la letteratura giovanile che mi ero persa, quella degli anni Novanta, e studiare la storia di come è cambiata la storia”. Linda, con un entusiasmo contagioso, porge strumenti ai suoi studenti perché diventino lettori critici. Perché siano in grado di scegliere i fili adatti a intessere la loro trama.
Si è parlato di fili, di trame, in questo quarto giorno di fiera. Di legami tra vite passate presenti e future, di visionarità, di coincidenze, di sincronicità. Quest’ultima parola me l’ha regalata l’autrice Daniela Cicchetta. È una parola che amo. Non la pensavo da tempo, l’avevo lasciata in disparte, presa dalle semplici coincidenze, che non contengono quell’elemento anche scientifico oltre che mistico. E invece oggi ho finalmente incontrato l’autrice del romanzo “L’ultima lettera di Einstein” Miraggi Editore, quasi per caso, assieme alle amiche Claudia Dalmastri, autrice per Ensemble Edizioni di “Disreality” e Marilena Votta, poliedrica scrittrice di poesie e romanzi, il suo ultimo per D Editore dal titolo “Stati di Desiderio”. Sono andata a ritrovare Daniela Cicchetta allo stand della Miraggi Edizioni. Con lei, l’editore Fabio Mendolicchio mi lancia le due parole che formano un libro appena uscito, “di cui sentiremo parlare“, mi dice: “dura mater”, scritto da un’autrice che ha scelto di chiamarsi con il ‘nom de plum’ Ada Sirente. Daniela Cicchetta mi legge ad alta voce la descrizione di questo romanzo: “Mariella è nel letto numero 5 della terapia intensiva. Una cicatrice demarca il confine tra un limbo di visioni e la realtà che le sfugge. È in coma farmacologico, operata al cervello. Mariella dubita di sé, non riesce a ricostruire gli eventi. Una cicatrice separa anche i due luoghi di Mariella: Roma, un fondale di carta, e l’Abruzzo, la sua terra antropologica, dove sopravvive la memoria della zia Elda e dove talvolta la natura, offesa, porta morte e desolazione. Una cicatrice segna le due lingue di dura mater: l’affilato gergo medico e improvvisi tratti lirici con radici antiche. Alla fine, la strada da percorrere è una sola: quella del capetiempe dei contadini abruzzesi, il ripartire sempre da capo insieme al volgere delle stagioni, superando il dolore delle sciagure, sia quelle individuali che collettive delle frane e dei terremoti”. Dei miraggi resi tangibili da questa casa editrice torinese scriverò con la dovuta attenzione e profondità. Ma è stato l’incontro che mi ha toccato il cuore nel profondo, mi sono sentita a casa con loro, in un luogo dove ‘sei quel che sei’ e va bene così.
E a proposito di sincronicità, il numero sei, o meglio la voce del verbo essere seconda persona singolare, l’ho incontrato pochi stand dopo chiacchierando con Michela Rossi allo stand del gruppo editoriale che accomuna Felici Editore e Libri Volanti (Stand F04). Ma non solo, con lei ho parlato di malattie, di scrittura che cura, di ospedale, di ricuciture tra un registro ospedaliero dove il paziente diventa un numero, e un registro narrativo, dove quel numero è invece un essere, un’essenza, una persona, una vita, una storia. Mi presentava un progetto di scrittura collettiva chiamato Scriviperbene. Si tratta di un gruppo di scrittori e scrittrici, che devolve in beneficenza i proventi delle opere realizzate a ‘molte penne’. Avevo già incontrato, grazie alla poliedrica Alessandra Benni di Città di Castello, il volume “Acqua”, i cui proventi hanno contribuito alla costruzione di un pozzo in Africa. Questo nuovo progetto, “Sei” è il titolo, contiene sessantasei racconti di altrettanti scrittori, cuciti ognuno con una parola tra sei, donate da pazienti oncologici dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord Fano-Pesaro. Non è un libro che parla di malattia, i racconti sono ognuno un tassello di scrittura di autori e autrici che affrontano temi e generi disparati. Ma fa parte di un progetto letterario di Medicina Narrativa, “una metodica di intervento clinico relativamente recente che si affianca alla terapia medica tradizionale”, leggo in una delle Sei prefazioni.
Mentre Michela mi descrive come i racconti non siano firmati, ma i nomi degli autori e delle autrici siano elencati in una forma grafica che nell’insieme forma un barattolo, ricevo una chiamata dell’amico medico e oncologo di Città di Castello, Luigi Castori. Che non sa nulla di questo progetto credo, né del fatto che io sia nella Nuvola a parlare di pazienti e di malattia. Eppure lui è uno di quei medici che non ti fanno sentire un numero, incarna l’idea di un libro che ha nel titolo la duplicità di una parola numero – Sei – e della parola verbo – Tu Sei -, usata per ribaltare la prospettiva del paziente. Perché è vero che spesso il paziente si sente un numero, ma grazie a questo progetto ha la possibilità di entrare in relazione con il potere della scrittura di sanare le ferite, anche quelle più profonde, se non addirittura il potere di riempire vuoti spaziali, vuoti temporali, ma soprattutto vuoti dell’anima. Pesanti seppure Intangibili, una parola che mi regala Margherita, giovanissima lettrice.
Il sabato della fiera è anche il momento del rincontrarsi tra vincitori del Premio “Racconti nella Rete”, ideato da Demetrio Brandi, e ormai giungo alla sua ventiduesima edizione. Ci si ritrova allo Stand di Castelvecchi Editore, giovani e meno giovani scriventi di racconti e altro, ci si saluta e si scatta la foto di rito di una comunità che aumenta ogni anno. Aggiunge nodi alla Rete. Persone che si perdono e si ritrovano, leggendosi vicendevolmente e regalando incoraggiamenti, critiche costruttive, sorrisi e sostegno, da conservare nei nostri luoghi nascosti delle insicurezze a fatica mascherate.
Di scrittura a più mani ho parlato con le autrici e l’autore della casa editrice Homo Scrivens, che nasce come un gruppo di scrittura, appunto. Hanno tante parole da regalarmi, ma soprattutto il loro motto: “I libri sono la forma delle idee”. Con loro, Luciana Pennino, Rosalia Catapano, Vincenza D’Esculapio e Aldo Putignano, mi intrattengo a parlare di nonne del terzo millennio, di melograni, di manie, del potere di scrivere e ideare progetti di scrittura in maniera collettiva. Mi colpisce una enciclopedia, che si sono inventati. Si intitola “Enciclopedia degli scrittori inesistenti”. E questo piccolo gioiello dell’immaginario consiglio di andarlo ad acchiappare, nell’ultimo giorno della fiera, per andare in controtendenza a questo nostro mondo della realtà in cui sembra esistano più persone che scrivono che persone che leggono… Mi sembra una metafora perfetta, che in un paradosso mette in pari questo sbilanciamento e aggiunge peso sulla bilancia dell’intangibile potere della scrittura.