Mascherine

Mascherine

Maggio 2, 2020 0 Di Marta Cerù

Penso alla parola mascherine e sento una filastrocca di Rodari, non ricordo quale ma la voce è la sua e io sono una bambina che disegna rombi sul costume di Arlecchino, la più bella delle maschere, la più colorata. La inseguono Pulcinella, Balanzone e Colombina. Lei canta, e io sono in poltrona, nel buio della sala, di fronte a me gli artisti del teatro di figura. Le mascherine per loro sono come delle lenti, le indossano per filtrare la vita e interpretare i sentimenti. Li ascoltiamo, li guardiamo e il cuore si rigonfia di emozioni.

Il vestito di Arlecchino (Gianni Rodari)

Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduja, una Brighella.

Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.

Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.

Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene il mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta!”.

Anche questa parola non sarà più la stessa, non sarà più lieve, dopo la pandemia in atto. Attorno alle mascherine si è detto di tutto, visto di tutto: chi non sa come si indossano, chi non riesce a trovarle, chi dovrebbe averle e non le ha, chi le ha ma farebbe meglio a non usarle. 

Ci sono mascherine lievitate di prezzo, care come l’oro, eppure svaporate nell’approssimazione: saranno protettive oppure no? Il virus le attraversa? Forse in un senso, forse nell’altro, forse io mi proteggo ma non proteggo chi amo, forse rimango vulnerabile ma almeno non infetto nessuno, forse sono per i positivi, forse per gli asintomatici, forse per tutti, forse per nessuno.

Ci sono mascherine fatte in casa, cucite con il filo dell’amore, da nonne, madri, zie, nipoti, ragazze pronte a far tendenza, con la mascherina di apparenza.

Ci sono mascherine polemiche, al centro di irrisolvibili contrasti. Arrivate in ritardo, mai giunte a destinazione, non made in Italy, prodotte in Cina o altrove, saranno contraffatte? Riusciremo a capirle? Parleranno la lingua dei segni o resteranno mute, per chi è sordo o chi è in ascolto?

Ci sono mascherine per bambini. A loro non servirebbero forse. Ma dovranno imparare a indossarle per proteggere i grandi. Scopriranno l’altruismo in fasce. E forse non smetteranno di esercitarlo, rimarrà intrappolato nella maschera, e il loro mondo sarà migliore. 

Ci sono mascherine disegnate. Qualcuno le ha dotate di una bocca, di un sorriso, di un segno di rossetto, come su labbra vere. Sono mascherine che ridono. Ma il bacio? Cosa ne sarà del bacio rubato? Come ci arriverà attraverso la maschera dell’amato? 

Ci sono mascherine di supereroi, coperti da camici interi, con i volti protetti, salvano vite in silenzio, senza mettersi in mostra, senza bisogno di apparire, sono pura sostanza, seppure mascherata. A volte piangono, di nascosto, lacrime di impotenza, inevitabili dopo aver incrociato lo sguardo di un ultimo respiro.

C’è poi la mascherina del sonno che indossiamo ogni sera. Chi può in un letto. Chi non può su un divano, su una stuoia, giù per terra, non sempre sotto un tetto. Non si vede però, se si vedesse non sarebbe vera, non proteggerebbe dagli incubi, impedirebbe forse i bei sogni. E allora meglio non averla, almeno di notte, il volto spoglio abbandonato sul cuscino, la mascherina, sola, vigile sul comodino.