Alba 2: Perfezione
Il sole è già alto stamattina ma è nascosto da striature di un’aria che tende alle sfumature del grigio. Le nuvole basse nascondono il lontano orizzonte, cancellando come bianchetto su un foglio il profilo del Monte Nerone. La sua vetta è scomparsa dietro il sipario di una scenografia dai confini meno frastagliati del solito, più dolci e più vicini. L’estate è al culmine, per molti la vacanza sta per iniziare. Fervono preparativi veloci, di zaini, di valige, incalza la tensione delle partenze dai bollini colorati, ed ecco la strada, la strada da percorrere per allontanarsi dai propri confini, spingersi oltre e provare a cercare il confronto con l’altrove, con l’altro. Ho potuto assaggiare anche io il gusto del viaggio, ma quanto poco ho esplorato del nostro pianeta sempre più piccolo? Quanto ancora mi resta?
Se una cosa è perfetta come può migliorarsi? Mi chiedo all’alba in attesa. Sono appena arrivati i protagonisti della settimana che ho atteso per un anno, quella che solo dodici mesi fa si era chiusa come la settimana perfetta. Come potrà semplicemente ripetersi? Mi chiedo persa tra le nubi del dubbio.
La settimana perfetta era un anno fa: persone diverse si incontravano per caso in questo luogo dai confini boschivi, dolci curve tendenti allo stato di quiete e di equilibrio. Sconosciuti si avvicinavano, grazie ai loro cani: Nicco, Yago, Augusto, Diana e Nina. Non tanto facilmente amici i loro animali, quanto pronti allo scambio e alla risata gli umani, che li accompagnavano in vacanza, in cerca del relax condiviso, grazie al quale il canto di ognuno si era unito agli altri, creando armonie inaspettate, improbabili forse, ma comunque ispirazione e stimolo a lasciarsi andare a piantare i semi dell’amicizia. Una pianta che qui attecchisce in poco tempo. Basta una notte, forse? Le radici scavano nel terreno estivo, si ramificano, trovano il giusto humus, lasciano spuntare rami, foglie, germogli, fino alla fioritura, di sorrisi e storie condivise, andando oltre la notte, le risate e l’ebrezza del pasto e del vino, sconfinando nella voglia di ritrovarsi al mattino, con gli occhi ancora assonnati e le membra posate, il passo lento ma attivo e pronto a rimettersi in moto, più facilmente se insieme.
I discorsi riguardavano il cibo, le ricette, gli usi e i costumi di fette d’Italia: una Roma caciarona, o ancor meglio cacionara, che si prestava a unire gli opposti, sale e pepe, ying e yang, sensibilità unita a un pizzico di posa burbera; una Reggio Emilia, tra mare e monti, dove il Lambrusco, nettare frizzante, accompagnava discorsi seri, seriosi, ariosi, sfumati nella storia e compressi nel sapore del parmigiano; un paese dal nome nobile e caldo come un castello sul mare che si spostava dal sud al nord e dal nord al sud, perché il lavoro scarseggia, si deve cercare altrove, occorre sradicarsi, emigrare.
Nella settimana perfetta, tutti i tasselli del mosaico componevano un quadro. Era l’immagine di una tavolata, in cui un Alberto antiquario e creatore di miniature grandi come formiche, diventava chef e invitava tutti alla sua tavola, mentre un Claudio cuoco romano si trasformava in attore, imitatore e intrattenitore, fornendo lo stecchetto giusto per attizzare il fuoco dell’allegra compagnia. Assieme a loro un Vanni silenzioso e osservatore offriva il piatto del dialogo: la mortadella tipica al nord condita dal succo del limone campano.
E le donne? Loro parlavano, si confidavano, dispensavano i colori e i suoni delle loro voci, quella squillante di Roberta, morbida di Federica, soffusa di Rosaria e decisa di Paola. Sedevano ‘cialando’ a bordo piscina o commentavano il cielo notturno, gli spicchi di Luna crescenti o calanti che fossero. Le donne c’erano, aggiungevano la colla per tenere assieme le tessere, così che il quadro resti, resista all’inesorabile passaggio del tempo. Ed ecco che un anno dopo la compagnia si ritrova, quasi la stessa, meno l’attore cuoco e la sua bella compagna dispensatrice di sorrisi e di fiducia nella lotta. Potrà mai ripetersi la magia di quei giorni perfetti?
La immagino riprodursi nell’alba degli arrivi, anche se l’aspettativa mi terrorizza. Sono pronta a esserci, ad accogliere nuovi tasselli, nuovi elementi canini. Arriva Maya dagli occhi di miele, piccola saltatrice di ostacoli, minuscola immensa gioia, tra le braccia dei suoi fedeli accompagnatori, Mauricchio e Daniela. Con Maya ci sono due gatti quasi invisibili, amici immaginari, Romeo e Ciuffo. Appena arrivano si nascondono e non escono dal rifugio delle loro vacanze che alla fine della settimana, tratti in salvo dalla loro Marzia, che li ritrova ogni giorno, perché senza di loro sarebbe persa.
Già parte del luogo, appare e scompare silenziosa la nobile Kira, accompagnata dal passo felpato di una Milano rispettosa. Kira è bella, regale e gentile, come lo sono la Venere che l’accompagna e il suo Roberto, che del silenzio ha fatto una missione.
E poi arriva Tino, che parla lo spagnolo, perché lui vorrebbe essere in Argentina, se potesse, vorrebbe vivere lì, cercare le sue radici italo spagnole, perdersi nelle calli di Buenos Aires, come la sua Laura, solo per sbaglio nata in Italia, in realtà desiderosa di trovare la famiglia di appartenenza sotto il cielo latino americano dove tanti italiani sono emigrati in un tempo quasi dimenticato. Lì troverebbe la sua storia, tra tutte quelle scritte nei libri di una biblioteca immaginaria, ma non per questo meno reale: la biblioteca di Babele, dove Borges ha racchiuso tutto ciò che mai è stato scritto, che mai continua a essere scritto e che mai sarà tramandato.
L’ascolto dello spagnolo, che un tempo avevo provato a imparare attraverso gli scritti di Borges e le poesie di Neruda, mi riporta alla mente, in queste notti di agosto, le stelle brillanti del poema 20 di Neruda, che trovai anni fa in una vecchia antologia delle più belle poesie d’amore in spagnolo:
Puedo escribir los versos más tristes esta noche.
Escribir, por ejemplo: “La noche está estrellada,
y tiritan, azules, los astros, a lo lejos.”
El viento de la noche gira en el cielo y canta.
Puedo escribir los versos más tristes esta noche.
Yo la quise, y a veces ella también me quiso.
En las noches como ésta la tuve entre mis brazos.
La besé tantas veces bajo el cielo infinito.
Ella me quiso, a veces yo también la quería.
¡Cómo no haber amado sus grandes ojos fijos!
Puedo escribir los versos más tristes esta noche.
Pensar que no la tengo. Sentir que la he perdido.
Oír la noche inmensa, más inmensa sin ella.
Y el verso cae al alma como al pasto el rocío.
¡Qué importa que mi amor no pudiera guardarla!
La noche está estrellada y ella no está conmigo.
Eso es todo. A lo lejos alguien canta. A lo lejos.
Mi alma no se contenta con haberla perdido.
Como para acercarla mi mirada la busca.
Mi corazón la busca, y ella no está conmigo.
La misma noche que hace blanquear los mismos árboles.
Nosotros, los de entonces, ya no somos los mismos.
Yo no la quiero, es cierto, pero cuánto la quise..
Mi voz buscaba al viento para tocar su oído.
De otro. Será de otro. Como antes de mis besos.
Su voz, su cuerpo claro. Sus ojos infinitos.
Ya no la quiero, es cierto, pero tal vez la quiero.
Es tan corto el amor, y es tan largo el olvido.
Porque en noches como ésta la tuve entre mis brazos,
mi alma no se contenta con haberla perdido.
Aunque éste sea el último dolor que ella me causa,
y éstos sean los últimos versos que yo le escribo.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio: “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri, in lontananza”.
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più. Sentire che l’ho persa.
Sentire la notte immensa, ancor più immensa senza lei.
E il verso scende sull’anima come la rugiada sul prato.
Poco importa che il mio amore non abbia saputo fermarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
Questo è tutto. Lontano, qualcuno canta. Lontano.
La mia anima non si rassegna d’averla persa.
Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che sbianca gli stessi alberi.
Noi, quelli d’allora, gia’ non siamo gli stessi.
Io non l’amo più, è vero, ma quanto l’ho amata.
La mia voce cercava il vento per arrivare alle sue orecchie.
D’un altro. Sarà d’un altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.
Ormai non l’amo più, è vero, ma forse l’amo ancora.
E’ così breve l’amore e così lungo l’oblio.
E siccome in notti come questa l’ho tenuta tra le braccia,
la mia anima non si rassegna d’averla persa.
Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi gli ultimi versi che io le scrivo.
Tra tutti i convenuti, l’unica bambina è Caterina, pronta a scoprire i misteri di una vecchia allegra brigata, nata per caso, ma non per caso riprodotta da un anno all’altro. Guarda curiosa con i suoi occhi grandi, limpidi e quasi trasparenti. Ascolta e assorbe, lei bilingue, imparando cadenze nuove, da incorporare ai ricordi futuri dell’infanzia presente. Le vacanze da bambini sono le memorie più belle, immagini salde di avventure passeggere, prive di difetti, perché quelli si dimenticano presto. Quando ripariamo gli errori, lasciamo che le ferite si rimargino, quando superiamo le difficoltà imparando, quando cresciamo e accumuliamo strati di tempo, allora sì che ogni settimana in cui stendiamo la nostra rete di relazioni e amicizie e ci lasciamo andare alla vita come da bambini, ogni settimana, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto secondo, sarà parte di un attimo memorabile e perfetto!