Lingotto 5: Eroidi
[…Segue…] Il mare non ha confini, arriva su spiagge o scogli, niente può impedire alle onde di adagiarsi sulla riva o infrangersi sulla costa rocciosa. L’unico confine al mare, la protezione giusta, è una Ringhiera, quella del ponte di una nave: la nave che salpa, la nave che approda, la nave che diventa porto per chi si è perso in mare. La nave che annuncia la sua presenza salvifica, grazie al canto della sirena. Come quella descritta dalle parole lette ad alta voce dall’autrice Caterina Bonvicini, nel Salone del Libro, nella pausa della Controra, l’ora della siesta, come si dice a Napoli, quel momento nel quale ascoltare, fermarsi e riposare, lasciando che la mente divaghi e accolga quello che arriva. Lo ha spiegato Valeria Parrella, presentando la Bonvicini, e introducendo uno degli incontri del Salone intitolato “Classici Sovversivi”:“A 2000 anni dalla morte di Ovidio, alcune scrittrici italiane riscrivono le Heroides, lettere delle grandi eroine del mito ai loro compagni, per ribaltare la prospettiva canonica con cui la loro storia è stata narrata”. Si trattava di uno spazio nel quale venivano letti, dalle autrici stesse, alcuni dei capitoli del volume “Le nuove Eroidi”, che uscirà in autunno per la casa editrice HarperCollins.
“E qui apro una digressione”, leggeva la Bonvicini dalla lettera della sua Penelope.“Perché ho voglia di sprecare migliaia di parole, utili o inutili per le sirene. Adesso le conosco anch’io. Conosco quella musica, quel canto di mare. L’ho sentito mentre lasciavamo il porto di Malta. Devono davvero tenerti legato. Io non piango mai, mi conosci, nemmeno quando vorrei, ma la sirena di una nave è irresistibile. Ho pianto asciutta per non farmi notare. Mi sono legata da sola, però ho pianto e di felicità. Cazzo, stiamo partendo, stiamo partendo davvero. Era una specie di pianto collettivo che mi tenevo negli occhi, un pianto plurale, perché a un certo punto capisci che un pianto singolare non conta niente. La sirena di una nave è per tutti, è un saluto superiore, è il canto della legge del mare. L’unica giusta, a questo mondo, alla fine, l’unica che non fa differenze, che protegge un naufrago per quello che è, è un naufrago e basta. non importa da quale paese viene, che lingua parla o di che colore ha la pelle. Il canto della legge del mare ti cambia la vita”.
Nella penombra della sala, in una bolla di tempo, ho registrato la lettura di una bellissima lettera, scritta da un’autrice per raccontare la storia vera di un cuoco pluristellato, che ha deciso di imbarcarsi sulla nave di Open Arms e andare a cucinare per l’equipaggio e per ‘loro’, i naufraghi che vengono soccorsi in mare. L’autrice ha scelto di raccontare la storia di quest’uomo, trasformandolo in un’eroina moderna, una Penelope contemporanea che scrive al suo Ulisse rimasto a terra, e gli racconta la sua scelta di partire, licenziandosi dal lavoro come cuoca stellata e lasciando a terra le relazioni di una vita: “Fare disfare, preferisco il rumore del mare”, narra Penelope/cuoca. “Ero stufa di nutrire gente che non mi piaceva. Credimi, sono stata altrettanto sbrigativa con il proprietario e con lo staff. Scusate parto. Due parole, nemmeno cinque. Lo stesso coraggio che ci vuole per scegliere un mestiere così, un mestiere che non si sa mai, senza tante garanzie, che si fa solo osando sul tuo sudore e sulla tua pelle e sulla tua creatività ancora più scivolosa. Lo stesso coraggio, ogni tanto va usato per abbandonarlo. A certi mestieri artistici, spesso ossessivi, fa solo bene essere abbandonati per un po’ intendo. Coincidi troppo con il tuo lavoro, diventi il tuo lavoro, usarlo per qualcosa che con la tua persona non c’entra più niente perché, come non devi mai diventare un problema non devi essere nemmeno il fine, è molto salutare”.
Ovidio scrisse le Heroides tra il 20 a.C. e il 2 a.C.. In edizione anche di Mondadori ,il volume è una raccolta di lettere d’amore fittizie, in gran parte di “eroine” della mitologia greca ai propri uomini. In contrappunto, la lettera della Bonvicini suona così: “Il mare agitato agita anche me, ma di un’adrenalina buona. Lo guardo e lo ammiro, per quella forza sua, terribile, stupenda, che ci scavalca completamente. Lo guardo come si guarda un cielo stellato. To’, cosa c’entriamo noi. Purtroppo c’entrano loro, che affogano così. Ma questo rientra nella mia sfera umana, quella che ti spinge a partire. Davanti al mare infuriato, non so perché, anche la mia umanità rimpicciolisce, o diventa enorme, tanto che il confine con l’impotenza è indistinguibile. Viviamo in un mondo che ci toglie certezze ogni giorno, in caduta libera, le poche rimaste ce le diamo noi. Ma cosa vogliamo di più. Pensa loro, magari coppie come noi, uno esce vivo dalla traversata, l’altro no. Morire insieme puo diventare un lusso”.
Al termine della lettura, la Bonvicini, moderna Penelope, risponde alla mia richiesta di una parola con Resistenza, che suona bene con Ringhiera, penso, come il suo scritto, la sua lettera, che indica una via: quella della testimonianza di ciò che avviene in mare; quella del mettersi in gioco, nonostante il proprio senso di inadeguatezza; quella di opporsi alla paura con le azioni di soccorso, oggi in controtendenza. Un po’ come la Controra, o la Gratitudine, mi viene da pensare mentre saluto Valeria Parrella e lei mi regala la parola Grazie, senza tante spiegazioni, grazie a prescindere.