Dito

Dito

Maggio 4, 2019 0 Di Marta Cerù

Qualche tempo fa mi sono tagliata un Dito. Sembrava un nonnulla ma non lo era. Un po’ perché era il dito della mano sinistra, l’anulare, il dito della fede. Un po’ perché ci sono voluti sei punti e il tendine è stato toccato dalla lama, per cui dovevo tenerlo immobile più di quanto pensassi all’inizio. La cosa non mi ha impedito di continuare a fare tutto quello che faccio di solito. A parte, purtroppo, suonare. Non che sia una musicista. Non aspiro a tanto ormai da molti anni. Ma cerco di imparare a suonare il violoncello da mezza vita e, avendo iniziato già da adulta, mi considero sempre una principiante.

Dal 2018 è nata a Roma OrchExtra, un progetto che permette alle persone come me, che suonano in maniera amatoriale, di realizzare un sogno, quello di suonare con altri. E da quando ho iniziato a provare con il maestro Giordano Ferranti, che ci dirige, in una delle sale di prova dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, sto imparando tantissimo, grazie alla ricerca del suono con gli altri. Per le prove non ci sono posti assegnati, eppure nel giro di poco tempo ognuno ha definito il suo posto, specialmente nelle fila di noi violoncelli, che siamo in tutto sette. Forse per il numero dispari, quella che continua a cambiare di posto sono io. E questo la dice lunga sul mio carattere e sulla mia vita un po’ nomade. Per la prima esibizione in pubblico, in cui suonavamo un numero limitato di brani assieme ad altri gruppi, ero quella disaccoppiata. Alle prove a volte mi piace condividere il leggio, a volte ho la serata in cui devo stare da sola. Per fortuna posso scegliere in genere! Nella vita non sempre è possibile.
L’esperienza di avere il dito infortunato l’ho presa davvero male all’inizio. Non sono andata alle prove. Mi sembrava inutile. Poi ho deciso di tornare, in occasione della prova aperta al pubblico. Non ho portato il mio strumento e mi sono nascosta dietro al mio dito bloccato, accomodandomi comunque tra le fila dei miei amici e colleghi. È stato così che ho fatto una scoperta bellissima. Mi sono dedicata all’ascolto e all’osservazione degli altri musicisti, ma soprattutto del nostro amatissimo direttore Giordano, “che non è male, non è affatto male!”. Ho fatto così tesoro di alcune frasi, che mi sembrano una metafora di qualcosa di più grande del suonare insieme.

Prima frase:“Mi si è liquefatta l’orchestra”. Può succedere davvero, quando si parte bene insieme e poi, per un motivo o per l’altro, quel momento di attacco degenera in una corsa a chi arriva prima, per la tensione, per la concentrazione solo sulla propria parte e non sulle guide del maestro. E la sensazione è quella di uno sbrodolamento, come quando ci si ritrova a un convegno, a una conferenza, in un’aula di dibattito politico, ci si confronta in modo educato, coordinato e poi, una frase tira l’altra, un gancio emotivo l’altro e l’armonia si perde, il solido si scioglie, si perdono i confini, anche di quello che è lecito e ci si ritrova nelle sabbie mobili del conflitto.

Seconda frase: “Cerchiamo di asciugarlo, è molto ruvido” (riferita al timbro e alla qualità del suono). A volte il suono è allo stesso tempo impastato e pesante, l’arco si attarda sulle corde, e trascina gli altri in un miscuglio sporco. La forza e la determinazione sono doti importanti, ma non quando è richiesta delicatezza, gentilezza.

Terza frase:“Occhio a non prendere troppa iniziativa di tempo. Io vi lascio andare, ma tenete il freno”. Il direttore non impedisce che ognuno trovi il proprio tempo, ma non ci si può perdere in questa ricerca, occorre rispettare quello degli altri, e soprattutto quello che lui ci continua a battere e indicare, con il movimento della sua mano e della bacchetta, a volte spezzato, a volte circolare. In questo caso, la bacchetta sale e poi forma un cerchio e l’importante è essere insieme in cima perché poi il resto avviene quasi per inerzia.

Quarta frase:“È molto difficile riuscire a ottenere la quadra dell’intera frase. Se c’è un gruppo di battute, ordinate di quattro in quattro a formare un discorso musicale, alla fine devo sentire un sedici, non i singoli quattro gruppi di quattro battute”. Il tutto non è mai la semplice somma delle parti, è sempre qualcosa in più, altrimenti quale sarebbe il compito speciale e imprescindibile del direttore che arriva a esprimere la sua interpretazione di un brano orchestrale?

Quinta frase: “Siete troppo eleganti. Per alcuni brani occorre il coinvolgimento del corpo, capace di dare un’idea del fraseggio. Il corpo può facilitare il crescendo di direzione, il movimento indica la direzione e permette di arrivarci”. Ed ecco che l’eleganza mi fa ritornare al dito. Si può essere troppo eleganti? E quando succede, cosa si perde? Il vero forse? Cosa è importante, la forma o la sostanza? Il dito che indica l’opera d’arte o il quadro che abbiamo davanti a noi? Le statue del Bernini su Ponte Sant’Angelo a Roma o le bacchette che sostengono lo schermo di un telefono?

Ero in sospensione durante le prove e non potevo suonare. Osservavo il dito del direttore, l’indice della sua mano sinistra, non la mano che tiene la bacchetta, l’altra, quella che ci indica, ci segnala, ci organizza.
E ho capito che la sua guida ci insegna molto di più che andare insieme, a tempo, che fare un bel suono. Ci stimola ad ascoltare gli altri per migliorare il nostro suono, il nostro tempo. Ci incoraggia a non essere rigidi, chiusi nella lettura della nostra singola partitura, ma a guardare, noi violoncelli, i violini primi, a osservare e ascoltare noi violoncelli, gli altri strumenti, a essere base sulla quale gli altri si appoggiano, oppure ad appoggiarci agli altri quando non siamo noi la base.