Pennacchio
Se un rosticciere poeta, come il Ragueneau della pièce teatrale di Rostand, scrive versi tra un pasticcino e l’altro, su carta che la moglie Lisa usa per incartare dolcetti. Se il connubio tra la scrittura e la poesia nasce in un luogo del cibo dove Cyrano de Bergerac racconta le sue gesta in versi e manifesta tutte le sfaccettature di un personaggio capace di amare rimanendo fedele a se stesso, alla sua libertà e alla sua penna in forma di pennacchio. Allora il fatto che una scuola di scrittura nasca nel regno del gelato, nel Palazzo del freddo di Fassi,nel luogo storico di una dolce eccellenza, sarà premessa di grandi successi. Come i racconti e i romanzi che sicuramente nasceranno da un luogo dove la scrittura è praticata in ogni sua forma, assiepando scriventi, scrittori e scrittrici, autori e autrici, lettori e lettrici, poeti, soprattutto amici e amiche che si riconoscono nei libri e nella parola scritta, insomma una fucina di parole nel regno del freddo.
Così Rostand descrive la “rosticceria dei poeti”
La bottega del pasticciere Ragueneau, spazioso laboratorio all’angolo di via Saint-Honoré e di via dell’Albero Secco, che si vedono ampie nel fondo, pei vetri della porta, grige nei primi bagliori dell’alba.
A sinistra, in primo piano, il banco sormontato da una specie di trofeo di ferro fuso, al quale sono sospese oche, anatre, paoni bianchi. In grandi vasi di porcellana alti mazzi di fiori naturali, principalmente girasoli gialli. Dallo stesso lato, in secondo piano, un immenso camino innanzi a cui tra mostruosi alari, su ciascuno dei quali è una piccola casseruola gli arrosti piangono nelle leccarde.
A destra, primo piano con porta. Nel secondo piano una scala che sale e una salettina pensile, di cui si vede l’interno per le impannate aperte; una tavola vi è apparecchiata, vi luce una graziosa lampada fiamminga: è un gabinetto dove si va a mangiare ed a bere. Una galleria di legno, che fa sèguito alla scala, par che conduca ad altre salettine analoghe.
In mezzo della bottega un cerchio di ferro che si può far discendere con una corda, ed al quale sono sospesi dei pezzi grossi, fa come un lampadario di selvaggina.
I forni, nell’ombra, sotto la scala, rosseggiano. Il rame scintilla. Gli spiedi girano. Dei pezzi montati s’alzano in piramidi. Dei prosciutti pendono. È l’ultima cotta mattutina. Ressa di sguatteri scalmanati, di enormi cuochi, e di minuscoli assistenti. Ondeggiano berretti a penne di pollo o ad ali di gallina faraone. Si portano sopra vassoi di latta e sopra graticci pile di brioches, villaggi di focaccine.
Varie tavole sono coperte di pasticcetti e di piatti. Altre sono circondate di sedie, che aspettano gli avventori. Una più piccola, in un angolo, scompare sotto le carte. Al levarsi della tela Ragueneau vi sta seduto, scrivendo.
E il rosticciere pasticcere poeta scrive una ricetta in versi per i suoi clienti cadetti e non:
Come si fanno le tartine mandorlate.
Batti sin che spuma muova
un par d’ova;
versa nella spuma e molci,
con un succo di cedrato
prelibato,latte di mandorle dolci;
pasta frolla quindi spargi
e conspargi
in formelle da tartine;
presto presto fanne i lati
marmellati;versa dentro a goccioline
la tua dolce spuma; poi
tutto puoiporre al forno; e, rosolate,
ne usciranno in gaie frotte,
bionde e ghiotte,
le tartine mandorlate!
Ho ritrovato questi versi, dopo una bellissima serata inaugurale, in una location perfetta, gremita di persone, volti sorridenti, felici, soddisfatti, curiosi, intrigati, brillanti, partecipi, ogni volto un cuore, tutti riuniti attorno a un’idea, a un sorriso, a un progetto, quello di “Genius. Scuola di scrittura”: la prima scuola di scrittura che apre i battenti in una gelateria.
Il sorriso che mi accompagnava mentre lasciavo l’Esquilino, un po’ come il sorriso volante di un genio della lampada che pur svaporando c’è, è lì pronto a esaudire il tuo desiderio, se solo ti metti a strofinare la lampada e lucidarla bene, ecco, quel sorriso del Genio accerchiato da una muraglia umana di amici geniali, era quello di Paolo Restuccia e dei suoi collaboratori, coloro che lo affiancano in un un’impresa che ha tutta la mia ammirazione e colpisce dritta al cuore, un po’ come Cyrano e il suo tocco “al fin della licenza”.
Tripudio di panna, di ingredienti e di sapori, i gusti del gelato si prestano a rappresentare corsi e laboratori guidati da amici geniali come Alice Felci, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi, Andrea Fassi, Massimiliano Ciarrocca, Simona Baldelli, Loredana Germani, Andrea Carraro. Mi sono immersa anche io nell’atmosfera di un’inaugurazione, aperitivo di tante possibili evoluzioni verso un unico obiettivo, il successo per tutti, nessuno escluso. E ne sono uscita come dalle giornate nella Nuvola di Fuksas (durante Plpl2018), con il mio ombrello pieno di parole belle, da custodire preziosamente per i tempi bui. Sono loro le piccole lanterne preziose, capaci di stimolare il coraggio che a volte manca, quello di scrivere a prescindere, perché non sempre lo si ha, e perderlo non capita solo a chi scrive per diletto, ma, a detta dei grandi, anche a chi è scrittore collaudato.
Oltre alla parola pennacchio che acchiappo al volo, un’altra parola mi cattura, o forse sono io a catturare lei, ed è la parola armonia. Il frastuono in questa occasione di festa è tanto, siamo troppi forse e lo spazio è ristretto, eppure ognuno trova un posto nel cortile interno del palazzo del freddo e nella sala gremita, e ci si scambia, ci si sposta, ci si sorride e ci si saluta, ci si conosce, ci si riconosce, ci si presenta, mentre dai microfoni della sala piena di spettatori, guide sapienti descrivono i corsi dai nomi che fanno gola: Racconto croccante, Romanzo alla panna, Sapori delle parole, Romanzo alla stracciatella, Gelatiere scrittore, Il gusto per le storie, Fotografie trigusto.
Incontro tanti amici e amiche e, come spesso mi succede in queste occasioni conviviali, mi pongo mostrando la mia facciata estroversa mentre all’interno i dubbi mi affollano, quelli legati al senso del mio essere qui, non solo in questo cortile a sostenere un progetto, a curiosare e sentirmi parte, ma proprio qui in questa forma mia umana, in quest’anima che desidera più di ogni altra cosa scrivere ma che così spesso sente l’inadeguatezza nel farlo. E così oscillo tra dentro e fuori e provo a definirmi scrivente, perché almeno oggi, qui e ora, scrivo, come ho sempre voluto fare ma non ho sempre fatto, in anni nei quali la paura ha preso il sopravvento e la mia voce si è quasi spenta.
Con tutte queste emozioni contrarie, sento di sapere quanto è difficile riuscire a creare armonia attorno a chi scrive e per chi scrive, per chi è immerso in un processo creativo fatto di accelerazioni e frenate, di blocchi, tanti blocchi, interi muri che sembrano impossibili da scavalcare e sicuramente ancor più da abbattere, fatto di vento in poppa e vento contrario, di parole che lusingano ma forse ingannano e di parole che criticano ma in realtà apprezzano e vedono oltre, capiscono che sei ancora dietro al tuo limite e più di te sanno che potrai superarlo, solo non sanno come, come non lo sai nemmeno tu… Eppure qualcuno riesce a farlo, a prendersi cura di sostenere il processo di chi scrive, mettendone in armonia i contrari.
Non ne sono sicura ma credo sia quello il segreto del Genio. Mentre si affollano volti e per ognuno provo un’emozione, Paolo Restuccia accoglie anche me, senza tante parole ma con quel suo sorriso dal quale capisco di essere nel posto giusto al momento giusto, che se dentro di me c’è la storia, lui saprà aiutarmi a tirarla fuori. E se non bastasse la mia sensazione, c’è l’esperienza di aver conosciuto tanti autori e tante autrici a lui grati, che ritrovo qui attorno all’amico noto per essere quel Genio regista del Ruggito del coniglio, condotto su Radio 2 da Antonello Dose e Marco Presta. Un coniglio unico, un coniglio che ruggisce, e questo la dice lunga in termini di armonia. Perché se il coniglio è l’animale codardo per definizione, il fatto che ruggisca lo rende in realtà un leone e cioè l’emblema del coraggio, ma quello del cuore, il coraggio legato all’amore, quello che non può che creare armonia, anche e soprattutto dei contrari.
C’è poi una parola ancora che mi accompagna mentre il gusto del gelato mi cattura i sensi. È la parola nuvola, ancora lei, ancora questa forma informe, questo agglomerato leggero, questa immagine di cielo che prelude alla pioggia o a una schiarita, questo impalpabile colore dell’aria che assomiglia così tanto a una piuma, di quelle bianche, morbide, ma capaci di nascondere una struttura, una penna, un pennacchio, proprio come quello di Cyrano, cadetto dell’armata francese, coraggioso eppure vulnerabile all’amore, che per amore scrive e si nasconde dietro le parole scelte con cura, le usa come una maschera per celare il suo cuore eppure rivelarlo intero, indifeso, timoroso di mostrare il suo sentimento: “No, no, mio caro amore, io non vi ho mai amato!”. Ma è proprio lì, in quel timore coraggioso, che l’anima di Cyrano vince anche la morte, grazie ai suoi versi e alla sua penna più che alla sua spada, al suo pennacchio capace di lasciare un tocco indelebile, fedele al cuore e alla libertà di scrivere… fino al punto di morire pronunciando le parole che lo renderanno immortale:
CYRANO: Che dite?… È vana… so… la resistenza adesso,ma non si pugna nella speranza del successo!No, no: più bello è battersi quando è in vano. — Qual fosco drappello è lì? — Son mille…. Ah, sì! vi riconosco,vecchi nemici miei, siete tutti colà!
La menzogna?
(Tirando colpi nel vuoto.) Ecco, prendi!… Ecco, ecco le Viltà ed ecco i Compromessi, i Pregiudizi!
(Tirando puntate.) Che io venga a patti? Mai! — Ed eccoti anche te, Stoltezza! — Io so che alfine sarò da voi disfatto; ma non monta: io mi batto, io mi batto, io mi batto!
(Fa immensi mulinelli con la spada. Poi si ferma affannoso.) Voi mi strappate tutto, tutto: il lauro e la rosa!
Strappate pur! Malgrado vostro, c’è qualche cosa chi io mi porto (e stasera quando in cielo entrerò, fiero l’azzurra soglia salutarne io potrò;)ch’io porto meco, senza piega nè macchia, a Dio, vostro malgrado….
(Si slancia, la spada levata.) Ed è…
(La spada gli cade di mano, egli barcolla e cade nelle braccia di Le Bret e Ragueneau.)
ROSSANA, piegandosi sopra di lui e baciandogli la fronte. Ed è?….
CYRANO, riapre gli occhi, la riconosce, e sorridendo dice: Il pennacchio mio!
[…] e nero che diventano una cosa sola, quell’armonia dei contrari di cui parlavo nella storia di un pennacchio, di un cadetto poeta e di un genio creatore di una scuola di scrittura! E avviene sulla strada […]
[…] dai quali nasce nuova vita, ma se anche l’amore è unico e unilaterale, come per Cyrano e il suo pennacchio, è il sentimento in sé che è già tutto. Provarlo, verso l’altro da noi, farci travolgere […]